La Cassazione su Ustica: «Depistaggio certo, fu un missile ignoto»

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ROMA — «Una cosa è certa: io sono una vittima di Ustica». Lo diceva sempre Aldo Davanzali, patron dell’Itavia, morto a 83 anni nel 2005 senza essere riuscito a dissipare quell’ombra di aver «armato bare volanti» che portò la sua azienda al tracollo. Ieri la Corte di Cassazione, nella sentenza 23933, gli ha dato ragione. Fissando due punti fermi: il depistaggio per la strage di Ustica ci fu e servì per dissimulare che ad abbattere il Dc9 dell’Itavia fu un missile.
Dice proprio così la Terza sezione civile della Cassazione: «Il depistaggio deve considerarsi definitivamente accertato» ed è stata «abbondantemente e congruamente motivata la tesi del missile sparato da aereo ignoto». Tesi, aggiungono i supremi giudici, che «risulta ormai consacrata pure nella giurisprudenza». Con questa motivazione, annullano con rinvio la sentenza della Corte d’Appello di Roma, che il 4 ottobre scorso aveva escluso responsabilità del ministero dei Trasporti e della Difesa nel fallimento dell’azienda.
Entrambi i dicasteri torneranno ora sotto processo. Dovrà essere un nuovo procedimento civile, infatti, a stabilire se a determinare il fallimento della compagnia aerea fu il «discredito commerciale» dovuto alla «diffusione della falsa notizia del cedimento strutturale» dell’aereo precipitato a largo di Ustica il 27 giugno del 1980 oppure cause pregresse. Come i debiti che, la stessa Cassazione, invita però a non considerare di gravità «patologica» in una compagnia aerea che necessita di spese e investimenti ingenti.
Si apre dunque una nuova possibilità di risarcimento, dopo il via libera a quello dei familiari di quattro delle 81 vittime dato dai giudici della terza sezione civile della Cassazione nel gennaio scorso. Ma la verità? La chiede Daria Bonfietti, presidente dell’associazione dei familiari dell vittime, con un appello al governo Letta: «È una buonissima notizia. L’ennesima conferma di quello che già sappiamo che è successo, ora mancano solo i colpevoli. Il governo non deve solo pagare i conti, ma chiedere conto del perché si sono depistate le indagini». «Ora via il segreto di Stato» chiede l’ex ministro Paolo Ferrero. E il pd invita a riaprire «una commissione d’inchiesta». Mentre il pdl Carlo Giovanardi sottolinea la «contraddizione» tra questa sentenza e quelle che hanno «assolto i generali dell’Areonautica da ogni addebito nel processo penale».
Le inchieste penali su quella strage di 33 anni fa non sono mai riuscite ad arrivare in fondo. Gli unici piccoli passi in avanti si devono alle sentenze civili sui risarcimenti. Ieri quella che le figlie di Davanzali hanno accolto con commozione, dicendo: «Una sentenza coraggiosa». «È uno squarcio su tutto ciò che è successo prima. Ma per la prima volta si riconoscono le responsabilità anche successive alla strage mirate a depistare» spiega l’avvocato Aldo D’Andria, difensore della famiglia Davanzali. «Quella attività causò il crollo di un’azienda e la tragedia di un uomo che era stato un pioniere nel suo settore e si ritrovò a morire povero e con quel dramma sulle spalle. Lui aveva sempre saputo la verità». Il 22 aprile in una delle sue ultime interviste lo aveva denunciato ancora una volta: «Il velivolo non era vecchio, né maltenuto, né tantomeno era stato omesso alcun controllo per la sicurezza dei passeggeri. Lo seppi all’aeroporto di Ciampino che era stato un missile». Lo disse e finì sotto inchiesta per divulgazione di notizie atte a turbare l’ordine pubblico. «Resta solo un rammarico — dice l’altro difensore Mario Scaloni — che Aldo Davanzali non ci sia più».
Virginia Piccolillo


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