«Un patto sulla grazia? Ridicole panzane»

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ROMA — È un tormentone che si trascina da tre mesi e che vede all’opera i falchi più ostinati del centrodestra e pezzi del mondo giornalistico, di osservanza berlusconiana e no. La vulgata, con poche varianti e aggiornamenti, resta sempre la stessa: il capo dello Stato avrebbe promesso la grazia «motu proprio» al Cavaliere dopo la condanna in Cassazione sul caso Mediaset e, visto che quell’aiuto «a prescindere» non si è visto, sarebbe venuto meno all’impegno. Un disatteso «piano di salvataggio» rilanciato ieri con grande evidenza dal giornale di Antonio Padellaro e Marco Travaglio e che ha provocato grande fastidio al Quirinale. Tanto da spingere l’ufficio stampa a una smentita dai toni inusuali, aspri e irridenti. «Solo il Fatto Quotidiano crede alle ridicole panzane come quella del “patto tradito” dal presidente… La posizione del presidente della Repubblica in materia di provvedimenti di clemenza è stata a suo tempo espressa con la massima chiarezza e precisione nella dichiarazione del 13 agosto scorso».
Ora, Napolitano sa bene che «una smentita è una notizia data due volte», come recita un motto spesso applicato alla politica. È dunque consapevole che la sua replica (secondo il Fatto preceduta da una richiesta di rettifica rivolta ai capigruppo del Pdl Schifani e Brunetta, ma senza frutto) rischia di produrre un effetto moltiplicatore delle «panzane». Non a caso in serata il direttore del quotidiano, Antonio Padellaro, risponde: «Le panzane di Napolitano potrebbe essere un buon titolo. Trovo scorretto il commento del Quirinale, abbiamo esercitato il nostro diritto di cronaca».
Ma nel capo dello Stato è prevalsa l’idea, e la speranza, di mettere finalmente «un punto fermo su quelle illazioni prive di fondamento». Perché lui non briga per aiutare, né per fregare, nessuno. Congetture veicolate con insistenza da persone vicine a Berlusconi — su tutte, Daniela Santanchè, che recrimina su una «pacificazione promessa e che il Colle non si è impegnato a garantire» — e raccolte e amplificate con intenti che nell’entourage presidenziale si suppongono di deliberata destabilizzazione. Cioé per avvelenare il clima intorno alle larghe intese, delegittimare lo stesso capo dello Stato, puntare alla crisi. Così, del resto, le tradusse il capo dello Stato alla vigilia della contestata sentenza, quando definì «un segno di analfabetismo e di sguaiatezza istituzionale» certi retroscena giornalistici che già anticipavano la chimera di una futuribile clemenza, in grado di preservare la cosiddetta «agibilità politica» dell’ex premier.
Eppure sul preteso salvacondotto non dovrebbero esserci ombre o equivoci, stando almeno al documento citato dal Quirinale. Un testo scritto alla vigilia di Ferragosto e concepito per stroncare le suggestioni emotive e gli azzardi scatenati dal verdetto della Cassazione. Napolitano ribadì che il provvedimento della grazia è regolato da «specifiche norme di legge», di stretta competenza presidenziale, di cui spiegò persino alcune sfumature. Sottolineò che l’atto di clemenza va chiesto, e nessuno lo aveva ancora fatto in nome e per conto di Berlusconi, e lasciò intendere che esiste una griglia di altri limiti (dall’ovvia accettazione della pena ad almeno un inizio di espiazione, distinguendo anche la pena principale da quella accessoria) per lui stringente. Fu tutto quasi inutile.
Marzio Breda


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