Fassina pronto a dimettersi «Io escluso dalle scelte»
ROMA — Stefano Fassina è su tutte le furie: «Se non ho dei chiarimenti da Enrico Letta, se non cambiano due, tre punti di questa legge, se non vengo coinvolto, io mi dimetto, non ho alcun problema: certo non sono uno attaccato alla seggiola», ha spiegato ai pochi compagni di partito e colleghi di governo che sono riusciti a parlarci ieri.
Il viceministro ha già avuto un confronto con Fabrizio Saccomanni. Il titolare del dicastero dell’Economia lo ha praticamente rincorso promettendogli: «Da ora in poi, vedrai, ci sarà maggiore collegialità». Quel colloquio, però, non è bastato a placare Fassina, che ora aspetta il ritorno dagli Stati Uniti del presidente del Consiglio per decidere il da farsi. Toccherà a Letta il delicato compito di dirimere la non facile questione. O il premier dà al viceministro le garanzie richieste o non ci sarà niente da fare e Fassina consumerà il suo strappo. Strappo che sarà tutt’altro che indolore. Si sta infatti parlando di un esponente di punta del Partito democratico, che ieri il segretario Guglielmo Epifani ha voluto pubblicamente difendere. Di più, il leader del Pd ha tenuto a dare ragione al «suo» viceministro e ad appoggiare senza riserve le sue richieste e le sue perplessità. Anche perché sono quelle di tutto il partito.
La verità, infatti, è che il Pd intero si è sentito preso in giro dal premier e dal ministro dell’Economia, oltre che da Angelino Alfano. Racconta un ministro del partito democratico che preferisce mantenere l’anonimato: «Ci hanno tenuti inchiodati sulla storia dei tagli alla sanità sviando la nostra attenzione dalle altre cose e invece non hanno fatto quello che si erano ripromessi di fare e che ci avevano assicurato che avrebbero fatto, come l’operazione sulle transazioni finanziarie». Pesa sulla posizione del Partito democratico e sulla delusione venata di nervosismo di Fassina anche la reazione dei sindacati. Della Cgil, soprattutto, ma pure delle altre organizzazioni sindacali.
Tra uno sfogo e l’altro il viceministro ha spiegato ai pochi interlocutori con cui ha parlato in questi ultimi due giorni: «Ma vi pare normale che nessuno mi abbia fatto vedere neanche un testo? Vi sembra regolare che io non sapessi niente?». E non si tratta di orgoglio ferito, perché Fassina non è quel tipo di politico. Lui è uno che ci crede sul serio. È veramente convinto che la legge di Stabilità «debba essere cambiata», che «sul fronte del sociale vada fatto molto di più», che sul «fronte della redistribuzione sia necessario essere più incisivi» e che, in generale, «occorra prestare maggiore attenzione al mondo del lavoro» e ai giovani disoccupati che «non hanno garanzie». Per questo motivo il viceministro è pronto a chiedere, nel corso del chiarimento con Letta, che torna stamattina a Roma, non solo degli impegni precisi per modificare la legge di Stabilità (impegni che vengono sollecitati dall’intero partito), ma anche una sorta di delega per partecipare in prima persona alla politica economica del governo.
Insomma, la sinistra teme di non riuscire a lasciare il segno su questo fronte. Ed è questa la vera ragione per cui Fassina chiederà di avere una parte più attiva nelle future mosse e decisioni dell’esecutivo. Non per se stesso, perché uno che «è prontissimo a mollare la poltrona» non coltiva simili ambizioni, ha spiegato ieri a qualche collega. Piuttosto, perché altrimenti non si capirebbe il significato della presenza del Pd in questo governo che ha già dovuto offrire l’Imu al Pdl per tacitare Silvio Berlusconi.
Dagli Stati Uniti il presidente del Consiglio sembra nutrire la speranza di riuscire a risolvere il «caso Fassina» positivamente. Ed effettivamente potrebbe riuscirci perché comunque benché il viceministro sia pronto a rimettere il suo mandato nelle mani del premier, non ha ancora compiuto l’ultimo atto formale, quello definitivo, che gli impedirebbe di tornare indietro. Ma i compagni di partito che ieri ci hanno parlato lo descrivono come «molto, molto arrabbiato», anche dopo il colloquio con Saccomanni, che pure si è prodigato in tutti i modi per evitare uno strappo che potrebbe far fibrillare ulteriormente il già traballante governo.
Maria Teresa Meli
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