by Sergio Segio | 18 Ottobre 2013 6:57
E dopo la severa bocciatura contenuta nelle motivazioni della sentenza che ha assolto il generale Mori per la mancata cattura di Bernardo Provenzano, vale come un parziale riscatto. Anche se la partita è ancora lunga, lunghissima. Non era persa per la Procura con il verdetto nel processo-gemello a Mori (imputato anche qui), e non è vinta dopo l’ordinanza che ha ammesso la deposizione del capo dello Stato. Però, a chi diceva che ascoltare Napolitano era inutile e persino impossibile, la corte d’assise ha risposto di no. Almeno per ora, giacché i giudici si sono riservati di esercitare il «potere di revoca» se «nel corso del dibattimento talune di tali prove dovessero successivamente risultare superflue». Ma al momento, hanno scritto nel provvedimento, non si può giungere a questa conclusione, anche per via «della estrema complessità delle vicende sottese alla contestazione del reato e alle innumerevoli implicazioni che presentano».
La corte avrebbe potuto sostenere, come suggerito dall’avvocato dello Stato, che la deposizione del presidente della Repubblica doveva considerarsi «inconferente e irrilevante» poiché si trattava di chiamare la più alta carica istituzionale a riferire eventuali opinioni ricevute da una persona che non c’è più: il magistrato Loris D’Ambrosio, suo consigliere giuridico, morto del luglio 2012 nel pieno delle polemiche seguite alla divulgazione delle telefonate tra lui e l’ex ministro Nicola Mancino, intercettate nell’inchiesta sulla presunta trattativa fra lo Stato e la mafia al tempo delle stragi. «Lei sa», scrisse D’Ambrosio in una lettera successivamente divulgata dallo stesso Napolitano, di alcuni episodi «che mi hanno portato a enucleare ipotesi, solo ipotesi, di cui ho detto anche ad altri, quasi preso dal vivo timore di essere stato considerato solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi», fra il 1989 e il 1993. Gli stessi di cui è a caccia la Procura, ipoteticamente siglati mentre D’Ambrosio ricopriva incarichi di rilievo prima all’Alto commissariato antimafia e poi al ministero della Giustizia.
Sulla pertinenza, in un processo penale, delle «ipotesi» avanzate da chi non può più argomentarle, per di più raccontate da una terza persona, si potrà continuare a discutere all’infinito, ma intanto la corte d’assise ha stabilito che non sono «manifestamente superflue o irrilevanti». Seguendo l’impostazione dei pubblici ministeri («è l’unica possibilità che abbiamo di approfondire la portata dei timori espressi da D’Ambrosio», ha argomentato il pm Di Matteo in aula) e rigettando quella dell’avvocatura dello Stato (parte civile per conto del governo e della regione Sicilia) che aveva invocato la riservatezza anche per le «attività informali» del capo dello Stato sancita dalla corte costituzionale nel risolvere il conflitto tra Quirinale e Procura di Palermo a favore del primo.
È prevedibile che, se e quando Napolitano sarà interrogato, ci sarà battaglia proprio sui paletti fissati dalla Consulta con la sentenza che ordinò la distruzione delle intercettazioni casuali delle telefonate tra il capo dello Stato e Mancino. I giudici costituzionali hanno sancito che le «attività informali» del presidente, comprese quelle «fatte di incontri, comunicazioni e raffronti dialettici» con chiunque e in qualunque momento, rientrano nell’attività istituzionale protetta da una garanzia «assoluta» di non divulgazione. Quindi non suscettibili di essere esaminate in una testimonianza giudiziaria. Eventuali colloqui con il consigliere giuridico del Quirinale, in questo caso su questioni relative alle vicende a cui ha fatto riferimento D’Ambrosio nella sua lettera, rientrano nella categoria garantita dal segreto? Secondo la Procura non è detto, e così secondo la corte. «Anche sotto il profilo temporale», visto che Napolitano potrebbe aver ricevuto confidenze dal magistrato prima di salire al Colle, o in contesti diversi. «Non sarà agevole fissare in concreto, nel corso della testimonianza, i confini dettati dalla Consulta», commenta l’avvocato dello Stato Giuseppe Dell’Aira. Lasciando intendere che davanti alla corte d’assise, nel salone del Quirinale dove dovrebbe avvenire l’udienza in trasferta, si rinnoverà il duello sull’ammissibilità delle domande.
Si annuncia dunque un nuovo capitolo dell’accidentato e polemico rapporto tra la Procura di Palermo e il capo dello Stato a proposito dell’indagine sulla cosiddetta trattativa. Ed è singolare che stavolta i contrasti derivino da una lettera che Napolitano volle rendere pubblica proprio per rendere omaggio a un «infaticabile e lealissimo servitore dello Stato democratico» come il suo consigliere prematuramente scomparso.
Giovanni Bianconi
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