Napolitano testimone, Cancellieri «perplessa»

by Sergio Segio | 18 Ottobre 2013 6:56

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PALERMO – Per tanti è un paradosso istituzionale, addirittura un’offesa alla più alta carica della Repubblica italiana, ma il capo dello Stato sarà interrogato come il più eccellente dei testimoni nel processo per la trattativa Stato-mafia. E’ la decisione dei giudici di Palermo, della Corte d’assise presieduta da Alfredo Montalto, che hanno accolto la richiesta avanzata dai pubblici ministeri guidati da Nino Di Matteo dopo la fuoriuscita di Antonio Ingroia. Tutti decisi a fare domande a Giorgio Napolitano sulle «preoccupazioni espresse dal suo consigliere giuridico Loris D’Ambrosio nella lettera del 18 giugno 2012» concernenti il timore espresso in una lettera dello stesso D’Ambrosio «di essere stato considerato solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi».
Siamo al tema di quelle che per i pm furono indebite pressioni esercitate dall’ex vice presidente del Csm Nicola Mancino, addirittura per bloccare l’azione dei magistrati a caccia di responsabilità sulla presunta trattativa in cui un ruolo chiave, secondo l’accusa, avrebbe avuto l’ingresso di Mancino al ministero dell’Interno.
Con la convocazione di Napolitano come teste, per qualcuno viene meno il rispetto istituzionale. Polemica estranea allo scarno comunicato della Presidenza della Repubblica che si limita ad informare come negli uffici del Quirinale si sia «in attesa di conoscere il testo integrale dell’ordinanza di ammissione della testimonianza adottata dalla Corte di Assise di Palermo per valutarla nel massimo rispetto istituzionale».
Appunto, un «rispetto» che imbarazza il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri, sorpresa, anzi «perplessa», perché parla di «scelta inusuale» pur senza muovere critiche, anzi precisando di «non avere letto le motivazioni» e aggiungendo che «prima vorrei documentarmi».
Quella di Napolitano è una testimonianza ammessa comunque dalla Corte «nei soli limiti della conoscenza del teste che potrebbero esulare dalle funzioni presidenziali e dalla riservatezza del ruolo», secondo quanto disposto dalla Corte costituzionale. Anche perché a gennaio la Consulta aveva deciso che le intercettazioni telefoniche tra il Quirinale e l’ex ministro Mancino dovevano essere distrutte. E questo nonostante il riferimento agli «indicibili accordi» di un periodo che andrebbe dal 1989 al 1993. Materia che ha angosciato D’Ambrosio poi morto d’infarto a 64 anni nel luglio 2012.
La Procura spiega di voler chiedere a Napolitano ulteriori notizie sulla lettera e sullo sfogo. E la Corte fissa con la sua ordinanza proprio questo limite: la lettera di D’Ambrosio. Napolitano non potrà essere sentito su altre circostanze inerenti il suo ufficio.
Oltre al capo dello Stato figurano nella lista testi il procuratore generale della Cassazione, Gianfranco Ciani, e il Presidente del Senato Pietro Grasso. Entrambi chiamati a «riferire in ordine alle richieste provenienti dall’odierno imputato Nicola Mancino aventi ad oggetto l’andamento delle indagini sulla trattativa, l’eventuale avocazione delle stesse e/o il coordinamento investigativo delle Procure interessate», come si legge nel provvedimento dei giudici letto ieri in aula.
Fissata al 24 ottobre la prossima udienza, presenti come primi testimoni il questore Rino Germanà e Susanna Lima, figlia dell’europarlamentare Salvo Lima ucciso nel marzo 1992 a Palermo, l’inizio della “grande vendetta” dei Corleonesi e forse della discussa “trattativa”.

Felice Cavallaro

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