by Sergio Segio | 17 Ottobre 2013 7:03
«L’EUROPA si allontana ogni giorno di più dalla Turchia». E’ un commento amaro e consapevole quello del ministro turco degli Affari europei, Egemen Bagis, espresso ieri dopo la pubblicazione del Rapporto Ue 2013 sull’allargamento dei Paesi candidati all’ingresso. Una relazione severa verso Ankara, ma equilibrata. Che condanna la repressione adottata dal premier Tayyip Erdogan nella rivolta dello scorso giugno a Piazza Taksim e al Gezi Park di Istanbul («uso eccessivo della forza» da parte della polizia nelle manifestazioni che videro la morte di 5 persone). E accusa il governo di pesanti interferenze nella libertà di stampa. Approva però i passi avanti fatti nel limitare il ruolo dei militari e l’utilizzo di lingue diverse, come il curdo. Prefigurando l’apertura di nuovi capitoli nel negoziato di adesione.
La Turchia è comunque incoraggiata a proseguire la sua strada verso l’Europa. Tuttavia il percorso si fa piuttosto accidentato se adesso persino i suoi alleati più fedeli, come ad esempio l’Italia, cominciano a manifestare seri dubbi sull’atteggiamento di un premier dall’approccio sempre più marcatamente religioso e autoritario. Almeno due recenti fatti inediti lo svelano: lo stop al Forum di dialogo italo-turco e la mancata prosecuzione dei vertici intergovernativi fra Roma e Ankara.
Che cosa sta succedendo? Sul primo fronte la diplomazia italiana non ha finora accolto le date proposte dalla controparte turca nel Forum organizzato da Unicredit. Ankara tiene molto all’evento.
Ma gli italiani si stanno rivelando freddi in proposito. Pesa molto il totale disaccordo con Erdogan su alcuni dossier fondamentali: sulla Siria (la Turchia vuole un intervento armato contro Damasco e forse arma tra i ribelli sospetti fondamentalisti); sull’Egitto (Ankara ha sostenuto il presidente Morsi e non i militari che hanno sbloccato la situazione); ma soprattutto all’Italia non è affatto piaciuto come Erdogan ha soppresso nel sangue le dimostrazioni pacifiche della scorsa estate. Tutto questo, però, la nostra diplomazia non può (non vuole) dirlo apertamente. Ma lo fa capire cancellando intanto gli impegni previsti con Ankara. Il Forum potrebbe essere spostato al prossimo anno. Però la Turchia ha due appuntamenti decisivi: le elezioni amministrative a marzo, e le presidenziali (cui Erdogan concorre) in estate. Ergo: niente Forum italo-turco, per la prima volta dal 2004.
Ancora più serio il secondo caso. Due giorni fa gli osservatori più attenti hanno colto un elemento. E cioè che quando ad Ancona il presidente del Consiglio, Enrico Letta, durante il vertice italo-serbo ha annunciato le prossime riunioni intergovernative (Russia, Israele, Francia, Spagna) non ha affatto menzionato una di quelle più riuscite degli anni passati, quella con la Turchia, avviata con successo a Smirne nel 2009. E un conto è un Forum di dialogo, un altro conto un vertice fra governi.
Insomma, Erdogan non piace più. E se a manifestarlo, seppure nelle “nuances” della diplomazia, è uno dei Paesi che più hanno sostenuto Ankara negli ultimi dieci anni, il cosiddetto «avvocato della Turchia» secondo la formula coniata da Silvio Berlusconi, questo assume un cambio di sensibilità significativo, seppure nell’amicizia e nella stima del popolo turco. Perché è l’inizio di un caso.
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