Sanità, ecco come si può risparmiare senza tagliare

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MILANO — Stavolta non s’abbatterà di nuovo la mannaia, ma la questione dei tagli in Sanità resta all’ordine del giorno. Con la legge di Stabilità il pericolo di altri sacrifici è stato scampato: negli ospedali, però, il problema di fare tornare i conti è più forte che mai, anche perché nel 2012 per la prima volta si è verificata una reale diminuzione di finanziamenti a livello regionale rispetto all’anno precedente, con conseguenze ancora difficili da metabolizzare. Il dilemma quotidiano è: ci sono ancora sprechi da eliminare o il rischio è di mettere in pericolo la qualità delle cure?
Il caso del San Raffaele di Milano, finito sull’orlo di uno dei più eclatanti crac di tutti i tempi (1,5 miliardi), viene considerato emblematico: secondo la ricercatrice dell’Istituto Bruno Leoni, Lucia Quaglino, l’operazione di risanamento dell’ospedale fondato da don Luigi Verzé è riuscita a non intaccare i successi scientifici, a riprova che tagliare la Sanità è possibile, con un aumento della produttività e senza arrivare a licenziare. Una ricetta che è applicabile agli ospedali pubblici, dove le nomine dei manager sono più politiche che imprenditoriali? «Io credo di no, proprio per questi motivi», ammette Quaglino. Ma una cosa è certa: i tagli nella Sanità degli ultimi anni sono stimati dalle Regioni in più di 3 miliardi per il 2012 e in 5 miliardi e mezzo per il 2013. Così com’è stata finora, dunque, la Sanità non è più sostenibile. Attualmente, per cure del valore rimborsabile di mille euro, un ospedale privato spende 935 euro, mentre il pubblico ne spende 1.289. Sono dati elaborati dalla Regione Lombardia, che segnalano una grande discrepanza non solo tra pubblico e privato, ma anche tra un ospedale e l’altro (che può superare il 30%). Insomma: o ci sono ancora grandi sacche di inefficienza, oppure c’è chi riduce troppo all’osso l’assistenza medica. Osserva ancora la ricercatrice Quaglino: «Per don Verzé ai conti doveva pensarci la Provvidenza, per i vertici degli ospedali pubblici è un compito dello Stato, per i manager della Sanità privata è una questione di sopravvivenza». Ritorna l’esempio del San Raffaele — dove con l’acquisto da parte dell’imprenditore Giuseppe Rotelli e l’arrivo del manager Nicola Bedin — sono stati disdetti tutti i contratti di appalto delle forniture e rinegoziate le condizioni economiche; lo stesso è avvenuto per l’acquisto di materiale e per l’approvvigionamento energetico (il risparmio è stato del 25%). Si sono aggiunti, poi, il licenziamento di quasi il 20% dei dirigenti, nonché la riduzione del 9% delle retribuzioni dei lavoratori del comparto sanitario e degli incentivi ai medici. Il raggiungimento dell’equilibrio finanziario adesso è a un passo (nonostante gli ulteriori sforzi imposti dai tagli di fondi pubblici e le dure contestazioni degli infermieri).
«Ma non solo il privato può avere bilanci virtuosi», sottolinea Giacomo Centini, direttore amministrativo dell’ospedale universitario di Siena. Qui la scommessa con i conti è stata vinta: dalle pulizie alla ristorazione, negli ultimi due anni la revisione degli appalti ha portato a un risparmio tra il 3 ed il 5%; l’uso di lavoratori interni al posto delle ditte esterne per servizi come la sterilizzazione degli strumenti odontoiatrici ha diminuito del 40-60% le spese; allo stesso modo la preparazione di farmaci nella farmacia ospedaliera e la scelta oculata dei fornitori ha ulteriormente aumentato i risparmi virtuosi fino al 7%. Tutte misure che potrebbero essere adottate su scala nazionale. Gabriele Pelissero, alla guida dell’Aiop (ospedali privati) e presidente del San Raffaele, avverte: «Rimuovere gli sprechi spesso non basta per fare stare in piedi ospedali d’eccellenza. È necessaria una grande riforma della Sanità».
Simona Ravizza


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