by Sergio Segio | 16 Ottobre 2013 6:02
Enrico Letta è sollevato e soddisfatto. In una sintesi, lontano dalle telecamere, definisce così la legge di Stabilità. Una sola cosa gli ha guastato il sapore del traguardo: tre giorni di indiscrezioni, infondate, sui tagli alla sanità, «sarebbe bastato riflettere sulla mia storia politica e personale per capire che non era possibile un taglio ulteriore sulla spesa sanitaria».
Non è stato così, ma del resto appena pochi giorni fa «eravamo impegnati in un rodeo», la partita della fiducia con il Cavaliere, e dunque tutto il resto ne ha risentito: la corsa contro il tempo per approvare un testo entro il 15 ottobre, come ora chiede l’Unione Europea; l’altra corsa per trovare una sintesi politica, «un accordo blindato» sui saldi e i macro-obiettivi, che non verrà scalfito da quanto delegato al lavoro parlamentare.
La decisione di scendere in conferenza stampa con accanto Angelino Alfano e Mario Mauro, in rappresentanza di Pdl e Scelta civica, è stata voluta e pensata. La manovra è interamente condivisa dal partito di Monti, ma soprattutto riflette la «nostra visione», ha rimarcato il vicepremier, che per un attimo è sembrato sul punto di aggiungere la visione di Berlusconi alla sua.
Quel «nostra» non è passato inosservato: se Letta ha discusso e sviscerato con Guglielmo Epifani i capisaldi del provvedimento, Alfano ha fatto lo stesso con l’ex premier e gli altri big del Pdl. L’understatement del presidente del Consiglio, «non voglio fare una presentazione roboante», riflette anche la serenità di chi è convinto di aver piazzato un’altra bandierina nella cartina della stabilità e della legislatura. Gli effetti, quella crescita «non cinese» ma pur sempre crescita, come rimarca Saccomanni, si vedranno solo nel 2014, ma intanto c’è da festeggiare un metodo oltre che il merito delle scelte.
Mario Mauro lo dice in modo esplicito di fronte ai cronisti, nella pausa del Cdm: una legge che «rassicura le istituzioni internazionali, perché al centro c’è una volontà tetragona di mantenere i conti in ordine, coraggiosa perché punta sul recupero della competitività», e soprattutto «che porta la visione della grande coalizione: non è la media tra gli interessi di questo o quel partito, ma sono gli interventi fondamentali per il Paese».
Per Palazzo Chigi la sintesi del ministro della Difesa è quasi perfetta: «Non solo c’è un accordo forte, ma soprattutto c’è la condivisione di tutti gli obiettivi politici di fondo, di certo da oggi la maggioranza è più forte e dovrà prendersi anche delle responsabilità ulteriori, a cominciare dalle scelte parlamentari che riguarderanno la platea dei lavoratori coinvolti nei benefici del taglio del cuneo fiscale», dicono nello staff del presidente del Consiglio.
Del resto per il Pdl è difficile non rivendicare una manovra che alleggerisce il carico fiscale, anche se meno forse di quanto si poteva auspicare. E infatti proprio di «rivendicazione», da intestare al suo partito, almeno così è sembrato, ha parlato Alfano, sottolineando un altro dei cavalli di battaglia del centrodestra: la vendita di asset di patrimonio pubblico.
Per un Paese la cui economia ha perso il 25% della produzione dal 2008 e il cui tasso di disoccupazione è schizzato nello stesso periodo dall’8 al 12% è comunque un segnale: tutti hanno qualcosa da rivendicare, non ci sono stati gli scontri cui i governi precedenti ci hanno per anni abituati, esiste un feeling molto forte fra premier e vicepremier e dunque una promessa di stabilità, quantomeno per il prossimo anno.
Marco Galluzzo
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