I paletti di Bruxelles sul 3% Ma investimenti più flessibili
Nel caso dell’Italia, appena uscita dalla procedura di infrazione per l’eccessivo deficit pubblico, le previsioni disegnano una manovra finanziaria da 10-12 miliardi. Enrico Letta smentisce le tante indiscrezioni circolate finora, ma qualcuno parla ugualmente di una possibile modifica ai patti locali di stabilità, per restituire un po’ di fiato ai Comuni più sotto pressione, allentare i loro vincoli di bilancio.
E in prospettiva, si riaffaccia anche l’ipotesi di chiedere alla Ue l’applicazione di una qualche forma di «golden rule»: l’esclusione dal calcolo del deficit pubblico di alcuni investimenti produttivi, di cui la stessa Ue sia beneficiaria e anche cofinanziatrice. Secondo calcoli approssimativi, Roma potrebbe così beneficiare di uno «sconto» pari allo 0,4%-0,5% del Prodotto interno lordo, qualcosa come 8 miliardi da utilizzare solo nel prossimo anno. C’è sempre un oppositore dichiarato, la Germania, che sembra riecheggiare il celebre lamento di Totò: «E io pago…». Ma l’idea continua lo stesso a circolare, e la «golden rule» ha i suoi sostenitori in vari Paesi.
Anche perché la cronaca sta già offrendo qualche esempio di possibile applicazione dell’ipotesi, purtroppo assai cupo: i costi dell’operazione aeronavale di salvataggio dei profughi nel Mediterraneo, secondo il ministro dei Trasporti Maurizio Lupi, potrebbero essere sostenuti dall’Italia ma «contabilizzati fuori dal nostro patto di Stabilità». E anche un piano contro il dissesto idrogeologico nel Nordest, evocato durante le commemorazioni delle vittime del Vajont, potrebbe fornire qualche appiglio.
Nel frattempo, oggi a Lussemburgo si riuniscono nell’Eurogruppo i ministri finanziari della zona euro, con Roma rappresentata da Fabrizio Saccomanni, e questo sarà una sorta di pre-esame di maturità. Proprio l’attuale presidente dell’Eurogruppo, il ministro delle Finanze olandese Jeroen Dijsselbloem, ha disertato l’altro ieri una riunione del Fondo monetario internazionale a Washington: ha dovuto restare all’Aja per seguire la trattativa su una manovra finanziaria da 6 miliardi, tesa a riportare il deficit sotto il limite fissato dalla Ue, il 3% del Pil.
Quanto all’Italia, il suo deficit sta oggi al 3,1%. Sarà arduo negoziare su questo con Bruxelles: le ultime raccomandazioni Ue prevedevano in giugno un deficit italiano al 2,9% per il 2013 e al 2,5% nel 2014 (1,8%, ha promesso invece Roma). Se si sfora ancora sul deficit, a marzo può tornare la procedura di infrazione: brutta sospensione dalla scuola comune europea, se non proprio la bocciatura. Infine, ci sono altre cose che chiede la Ue: per esempio di «potenziare il quadro giuridico relativo alla repressione della corruzione, i cui costi sono stimati al 4% del Pil»; quella stessa corruzione che rappresenta «una seria preoccupazione, una severa minaccia al potenziale per la ripresa economica». Per Bruxelles «la legge anticorruzione del novembre 2012 richiede un’azione di completamento e la repressione del fenomeno può essere ulteriormente accentuata» (eufemismi del linguaggio diplomatico Ue, ndr ). In tutto ciò, non c’è «golden rule» che tenga, e non basta neppure allentare i vincoli sul deficit: ma la Ue chiede, e non tanto sottovoce, che il nostro concetto di «stabilità e crescita» significhi anche questo.
Luigi Offeddu
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