Olivetti: «Il ’900 di un grande protagonista»

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Di questa avventura quello di Camilleri è frammento simbolico. Tratto da uno dei primi due volumi che escono a giorni. Che sono Lezioni per Pietro Ingrao, tenute nel 2005 alla Camera da Andrea Camilleri, Alberto Olivetti, Edoardo Sanguineti e Mario Tronti (pp. 140, Euro 12). E Pietro Ingrao, La Tipo e la notte. Scritti sul lavoro 1978-1996, a cura di Francesco Marchianò, con saggio di Stefano Rodotà (pp. 202, Euro 14). Poi verranno un Saggio inedito sul sessantotto, con uno scritto di Alfredo Reichlin, una selezione di testi e scritti parlamentari sulla democrazia, con saggio di Walter Tocci, e poi ancora tutto il dibattito attorno a Ingrao poeta, a partire dal Il dubbio dei vincitori del 1986 e da un’intervista con Aldo Garzia sulle liriche ingraiane. Con lettere, interventi e testi di Anceschi, Fortini, Zanzotto, Giudici, Sciascia, Rossanda, Macchia, Luperini.
E allora ne parliamo proprio con Alberto Olivetti, filosofo dell’arte a Siena «ingraiano storico» definizione che non disdegna che oltre che conoscitore delle «Carte Ingrao» (quelle regalate dal leader al Crs) sta ben dentro l’opera in corso. «Non è proprio un’Opera Omnia ci dice ma un lavoro di selezione diacronica del mondo di Ingrao, dalla metà degli anni Trenta ad oggi. Sono scritti, immagini, foto, video, spezzoni e lavori più compiuti, che Ingrao già catalogava da tempo con la sua collaboratrice Renata Rizzo…».
Riordiniamoli.
«I filoni sono tanti. C’è l’Ingrao dirigente, saggista e pubblicista. L’Ingrao poetico e teorico dell’arte, e infine la fitta corrispondenza con un mare di personaggi eminenti: Bobbio, Dossetti, La Pira, Luzi, Sciascia, Chiarini, Sbarbaro e Arnheim…».
Già, Arnheim, che con Ungaretti e l’ermetismo, è una delle chiavi per entrare nell’anima di Ingrao. È così? «Proprio così. Le origini del vissuto e dell’impegno politico di Ingrao stanno lì. Nel tema estetico e artistico. In Leopardi, per esempio e ben prima di Gramsci o Marx. E a contatto con le avanguardie del 900, e il pensiero più avanzato sulla “settima arte”. Nel cinema fin dagli anni giovanili cercava ritmo, coinvolgimento vitale e “combinazioni di senso” in grado di “figurare” e far erompere la soggettività moderna. Lo stesso vale in poesia, che per Ingrao è montaggio dalla frammentazione…». Non erano velleità giovanili?
«No, a parte il rapporto decisivo con Arnheim, elabora per Visconti la sceneggiatura ineditadi una Novella di Verga Jeli il pastoreE partecipa sempre con Visconti alla sceneggiatura di Ossessione». Adesso però Olivetti è venuto il momento di «buttar-
la in politica», altrimenti la accuseranno di trasformare Ingrao in un poeta minore del 900…
«Ingrao è stato e resta un grande capo politico del comunismo italiano. Ma l’opera cerca di far capire il comunismo libertario di Pietro Ingrao. In bilico tra liberazione delle soggettività oppresse e dedizione totale al Fine. Almeno fino al famoso 1956…». È lì la vera cesura?
«Esatto, dopo il 1956 cessa la dimensione manichea e Ingrao indaga il neocapitalismo e le potenzialità liberatorie del nuovo fordismo. Della nuova classe operaia con i suoi bisogni. Di lì nasce anche il dissenso che lo porta diritto al XI Congresso, al “non sarei sincero”..».
Il dissenso si protrae, quando Ingrao lascia la Presidenza della Camera e studia le forme dello Stato? «Sì, perciò in quegli anni nasce il Crs. Con anticipazioni fulminanti su riforma dello stato e crisi di rappresentanza: roba attualissima, persino profetica». Per finire due domande: il 1989 e l’Ingrao di oggi. Che dice Pietro della vostra opera?
«L’Ingrao del “no” alla Bolognina è tutto da indagare e pubblicare, e lo faremo. Si attestò su una posizione poco incisiva, forse. Quanto al Pietro di oggi, è ben felice del “cantiere”. Anzi, stiamo pure scrivendo insieme una sorta di dialogo esemplare sui massimi sistemi: non-violenza, soggetti, forme associative, mondo globale. Titolo: Verso la Grotta di Tiberio, in ricordo di tante lunghe passeggiate insieme a Sperlonga».


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