La guerra segreta al terrore in Africa Così l’America si appoggia all’Italia

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WASHINGTON — C’è la portaerei Italia ad appoggiare la caccia ai terroristi in Africa. Con le basi di Sigonella e Vicenza a sostenere le operazioni segrete Usa, retrovie per le unità speciali protagoniste di raid simili a quelli lanciati, in contemporanea, in Somalia e in Libia. Il primo fallito, il secondo chiusosi con la cattura del qaedista Anas Al Libi.
Notte tra venerdì e sabato. Il Seal Team Six della Marina, noto come Devgru e autore del blitz contro bin Laden, è piombato su Baraawe, cittadina a sud di Mogadiscio. I militari sono arrivati dal mare utilizzando un mercantile come nave appoggio, quindi i gommoni. Incursione per catturare un importante dirigente Shebab, forse il capo in testa, Mukthar Abu Zubery «Godane», o un luogotenente, insieme ad una quindicina di complici pronti ad attuare un attentato simile a quello di Nairobi. L’azione dei Navy Seals ha incontrato difficoltà, forse hanno sottovalutato le difese. Gli Shebab, trincerati in una villa, hanno opposto una resistenza tenace. Svanito l’effetto sorpresa i commandos americani hanno deciso di «sganciarsi» sotto la protezione degli elicotteri.
Ore 6.30 di sabato. Tripoli. Abdul Hamed Al Ruqai, alias Anas Al Libi, è sulla sua auto quando è bloccato da tre vetture. Scendono una decina di uomini con il volto coperto. Sfondano i vetri, impediscono che il bersaglio raggiunga una pistola, lo portano via in pochi istanti. Solo nella serata da Washington confermano di aver «prelevato» Al Libi e di averlo trasferito in un luogo sicuro all’estero, probabilmente Sigonella o una base in Spagna. Il terrorista era ricercato da 15 anni, avevano offerto una taglia di 5 milioni di dollari, era accusato di aver organizzato gli attentati di Nairobi e Dar Es Salaam nell’agosto 1998. Per gli americani una figura importante, sospettato di essere legato ad una nuova cellula di Al Qaeda in Libia, forse finito nella trama dell’attacco al consolato di Bengasi. Meno sicuri di ciò diversi analisti. Il libico — sostengono — è stato un personaggio di peso nel passato, poi aveva cercato di galleggiare, rifugiato prima in Afghanistan e quindi in Iran. Rientrato nel 2012 a Tripoli non si nascondeva e la sua presenza era stata segnalata persino dalla Cnn . Gli amici gli avevano consigliato di usare prudenza, ma Al Libi ostentava sicurezza. Gli americani lo hanno portato via con un’azione che ricorda i sequestri di terroristi condotti dalla Cia durante la presidenza Bush. Tanto è vero che il governo locale ha protestato chiedendo «spiegazioni», dagli Stati Uniti hanno risposto con un «erano informati». Il figlio ha sostenuto che tra i rapitori c’erano dei libici. Tripoli si muove sul filo. Le autorità, infatti, hanno ostacolato le richieste Usa per arrestare pericolosi estremisti in Cirenaica, nuovo focolaio di integralismo violento. Altro aspetto interessante nel caso Al Libi: dovrebbe comparire davanti ad un giudice di New York (dove è stato incriminato nel 2000) e non a Guantánamo.
Il doppio colpo ha significati simbolici e pratici. L’attacco di Baraawe segue di pochi giorni l’anniversario della battaglia di Mogadiscio dell’ottobre ‘93, dove persero la vita 18 ranger Usa. Il mai dimenticato «Black Hawk Down». Inoltre avviene a ridosso del massacro al centro commerciale Westgate. Così la Casa Bianca manda un messaggio di deterrenza: terrorizziamo i terroristi ovunque si trovino. Usando i Seals, quando è possibile, al posto dei contestati droni. E per farlo ha messo in piedi un network di basi dall’Europa all’Africa. Ecco il ruolo di installazioni cruciali come Sigonella, dove sono ospitati reparti speciali e i droni da sorveglianza Global Hawk, Aviano, avamposto fondamentale per il Comando Africa. Un’inchiesta della rivista Mother Jones ha censito 59 siti militari americani in Italia, 13 mila soldati e un budget di 2 miliardi di dollari spesi dalla fine della Guerra fredda nel nostro Paese. A Washington hanno gradito la «flessibilità» da parte delle autorità italiane rispetto alla rigidità del governo tedesco.
Fondamentali, poi, le postazioni nei Paesi africani, dalla quale partono droni da attacco, aerei per la guerra elettronica, nuclei d’élite contro le formazioni qaediste regionali. Un apparato integrato con l’assistenza diretta a truppe locali. Ecco perché l’Uganda o le spiagge somale sono il nuovo campo di battaglia della guerra di Obama.
Guido Olimpio


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