Il Cavaliere ferma tutti «Ritroviamo l’intesa Il leader è Angelino»

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ROMA — La sua linea è stata tracciata dal giorno dopo il dietrofront sulla fiducia, e non cambia: «Voglio un partito unito, è la cosa più importante. E chi può tenerlo assieme è Angelino Alfano». Per questo Silvio Berlusconi ha preso male l’intervista al Corriere della Sera di Raffaele Fitto nella quale l’ex presidente della Puglia lancia il guanto di sfida al segretario.
«Queste cose dividono, non servono a ritrovare l’intesa», è stato il suo sfogo sulle parole di Fitto, le cui tesi esposte anche in riunioni riservate erano già state da lui contrastate non perché non condivisibili in sé, ma appunto perché «non possiamo permetterci spaccature oggi». Nel merito degli argomenti portati da Fitto, infatti, il Cavaliere ha poco da prendere le distanze: anche lui capisce il rischio di una deriva centrista, anche lui vede come nell’area dei lealisti ci sia, appunto, grande vicinanza e lealtà nei suoi confronti, e anche lui sa che gli argomenti programmatici e di linea politica sui quali l’ex ministro batte, a nome di una vasta area del partito, sono «certamente ragionevoli», tanto più dopo le parole di Letta di ieri che lo hanno «ferito e amareggiato», costringendo tutto il Pdl – e il segretario per primo e con forza – a smentire, correggere e rintuzzare il premier.
Ma due cose non vanno giù a Berlusconi: la prima è la richiesta di un congresso, che è formula per lui aliena, nel modo che ha di concepire la vita di un partito. La seconda è appunto la sfida all’Ok Corral ad Alfano. Anche l’ex premier, dicono, ha sofferto nel profondo per lo strappo politico di Alfano e dei ministri sulla fiducia, anche lui ha sospettato. Ma oggi è ormai convinto che serva andare avanti, tutti uniti, e «chi se non Angelino, che io ho voluto segretario, può essere il leader del nostro partito?». Non Fitto, con il quale i rapporti si guastarono all’epoca della sconfitta in Puglia, quando l’allora ministro impose un suo candidato che poi fu sconfitto da Vendola. Uno «sgarbo» che Berlusconi alla fine ha perdonato, ma mai davvero dimenticato.
Così ieri a chi lo ha chiamato per capire se l’operazione dei Lealisti avesse la sua benedizione ha risposto che no, che «non ci si può dividere», che è necessario trovare un accordo. Ma quale sia, allo stato, nessuno lo sa. Da Arcore, dove è tornato, ha dato appuntamento ai suoi questa settimana (domani dovrebbe vedere proprio Fitto), i contatti saranno continui come i vertici, ma la soluzione allo stato non si vede.
Piuttosto, questa è l’ora dei posizionamenti in vista di una sfida che potrebbe vedere la vittoria rapida di Alfano con l’appoggio di Berlusconi, ma anche una possibile spaccatura. Infatti, se con il vice premier si stanno ormai schierando big come Schifani (ieri contro Fitto e a sua difesa sono intervenuti i suoi fedelissimi, Esposito, D’Alì, Vicari e Azzolini) ma anche Brunetta, a Fitto e ai Lealisti va la grande attenzione dell’area di Matteoli e Gasparri (che apprezza «la chiarezza di posizioni e i contenuti di Raffaele»), anche quella esterna di Giorgia Meloni, e l’energia di Carfagna, Gelmini, Prestigiacomo e molti altri. Secondo i governativi, in verità, la forza di Fitto è soprattutto nell’ombra: «Dietro a lui c’è Verdini, che sfrutta la sua faccia pulita per tornare in campo».
Comunque stiano le cose, la partita è lontana dall’essere conclusa. E a Berlusconi spetterà trovare la quadratura del cerchio per tenere assieme tutti, in uno schema che preveda lui presidente e Alfano suo vice, ma con posti in tolda di comando per tutte le anime. Secondo i governativi «una volta che capiranno che Berlusconi è con noi, Fitto resterà da solo con i suoi». Secondo i Lealisti «non ci faremo comprare, qui si gioca il nostro futuro». Il tutto in un clima che si fa più difficile nella maggioranza tra Pd e Pdl. E che rende un’impresa la ricomposizione nel partito.
Paola Di Caro


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