L’invenzione di una città tra gialli, rapine e banditi. Con Jannacci al bar Giamaica

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Anno fatidico, il 1968, l’anno precedente la banda Cavallero aveva colpito l’immaginario e la realtà. Lizzani, da sempre politicamente schierato affronta la questione della banda composta da Donato Lopez, disoccupato figlio di un operaio del sud emigrato a Torino, Adriano Rovoletto, apprendista falegname ex partigiano, Sante Notarnicola immigrato al Nord, tra le tante ex attività, ex segretario della Federazione giovani comunisti di Biella, infine lui, Pietro Cavallero figlio del quartiere Barriera Milano di Torino, ex comunista, dotato di cultura e carisma. Per loro non è questione di criminalità, ma di giustizia sociale. Ma non tutto fila per il verso giusto. Nel corso di una rapina in banca a Milano, scappano sulla millecento rubata a Pupo De Luca, geniale batterista folle (che nel film interpreta se stesso), inseguiti dalle pantere alla fine lasciano una scia sanguinaria di tre cadaveri e oltre dieci feriti. Lizzani come sempre prende di petto la realtà, si affida al «mostro» Volontè e racconta. Ma questo rientra nel suo approccio cinematografico. Molto meno nota è una storia che risale a oltre dieci anni prima. Anzi un film, titolo Lo svitato , protagonista un attore esordiente, anche complice nella sceneggiatura: Dario Fo.

Un’autentica follia, con il fattorino di un quotidiano che si ritrova coinvolto in un inchiesta con sfondo omicida. No, nessun giallo, follia allo stato puro. Accanto a Dario la consorte Franca Rame e un manipolo di attori di origine teatrale destinati a fare sconquassi. Giustino Durano, Franco Parenti, Alberto Bonucci, Giancarlo Cobelli, oltre a un paio di outsider come Giorgia Moll e Leo Pisani, pseudonimo usato anche durante il fascismo per evitare persecuzioni dietro il quale si nascondeva l’impresario Leo Wachter. Quella che propone Lizzani, attraverso le scorribande di un Dario Fo magrissimo, è una Milano a mezza strada tra le devastazioni della guerra e la ricostruzione, tra la miserabilità del passato e la grande speranza per il futuro, il tutto in chiave assolutamente grottesca con momenti di straordinaria vis comica. Franca era una pin up predestinata, solo la sua forza straordinaria ha potuto cambiare il suo percorso artistico predestinato. Ma la genialità del film sta nella compulsività di Dario e nelle scene in redazione dove si cerca di venire a capo del «giallo» mentre intorno sono concorsi canini e palestre di boxe.

Più tardi venne La vita agra , geniale analisi della milanesità scritta con tratti autobiografici da Bianciardi, con Tognazzi venuto in città per far saltare la sede dell’azienda chimica responsabile di morti sul lavoro, che finisce risucchiato nel boom, nella pubblicità e in una relazione extraconiugale. Tra le altre notazioni film d’esordio di Enzo Jannacci che al bar Giamaica canta L’ombrello di mio fratello . E non ci poteva essere intuizione migliore per essere considerato milanese d’adozione, con tanto di certificato pugliese doc.


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