L’ira di Obama sui repubblicani “Basta con la farsa sul bilancio così l’America rischia il collasso”

by Sergio Segio | 6 Ottobre 2013 7:36

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NEW YORK — «Votate e finitela con questa farsa»: Barack Obama sbotta in maniera inconsueta contro i Repubblicani durante il tradizionale discorso alla nazione del sabato mattina. La pazienza del presidente si sta sfarinando con il passare dei giorni, siamo al quinto dall’inizio dello shutdown (i tagli ai servizi federali) e il calendario corre veloce verso l’altro, ancora più grave, incubo quello del default. La data spartiacque è il 17 ottobre, anche se poi l’Apocalisse, come la chiamano gli ana-listi, inizierebbe il 1 novembre con l’America incapace di far fronte ai propri impegni economici: dalle pensioni al pagamento dei bond. Per evitare tutto questo bisogna alzare il limite del debito e il Congresso vive ore convulse sul filo della trattativa.
Obama gioca le sue carte e spiega: «Non è tollerabile perdere altro tempo. Ho ricevuto trentamila lettere di cittadini arrabbiati per quello che stanno vivendo sulla loro pelle. Sono messaggi strazianti, i danni del blocco mettono in ginocchio milioni di famiglie. I Repubblicani sono ostaggio della loro ala estremista, hanno scelto di mettere alle corde un governo che non gradiscono per colpire una legge, quella sulla sanità, che non vogliono. Ma io non cedo ai loro ricatti».
In un’intervista all’agenzia Ap, il presidente è ancora più chiaro: «Al Congresso abbiamo i numeri, anche alla Camera, per far passare le nostre idee, ma per riuscirci bisogna che si arrivi ad un voto». E qui accusa direttamente il leader dei conservatori alla Camera, John Boehner: «Lui lo impedisce perché vuole alzare ancora di più la posta e ottenere concessioni: io ripeto che sono felice e disponibile a discutere di tutto, ma non posso accettare che gli Stati Uniti vengano minacciati da una parte politica che vuole il collasso del sistema perché non ottiene quello che chiede».
Il leader repubblicano insiste e non sembra mostrare segni di cedimento. In una riunione a porte chiuse arringa i suoi: «Questo non è un maledetto gioco, siamo di fronte ad una battaglia epica e non possiamo arretrare». In realtà, come osserva il
Wall Street Journal, ci sono segnali di cedimento all’interno del partito di opposizione. Sono in molti infatti i senatori e i deputati che pensano di essersi infilati in un vicolo cieco da cui sarà difficile uscire senza «mandare in rovina il Paese », da qui la convinzione che un accordo sia ancora possibile prima della “tragedia finale”. Si intravedono piccoli segnali sparsi: ieri il Pentagono ha richiamato in servizio 400mila civili (grazie ad un cavillo legislativo), il Congresso all’unanimità ha votato un provvedimento per pagare in maniera retroattiva gli stipendi di tutti gli impiegati federali messi ora in congedo. E anche i mercati, come scrive ancora il Wsj, sembrano non volere nemmeno prendere in considerazione l’ipotesi di un default: «Sarebbe peggio degli uragani Katrina e Sandy, alla fine si troverà un’intesa». Lo scenario è da incubo, il segretario del Tesoro Jack Law dice che sarebbe peggio «della crisi del 2008» e secondo gli esperti dell’Ocse «avrebbe conseguenze pesanti anche sulla ripresa europea».
Per ora rimangono i danni dello shutdown, con la stampa di Pechino che ipotizza la richiesta di rimborsi da parte dei turisti cinesi delusi da musei e monumenti chiusi “per tagli”. E, più seriamente, con un ruolo internazionale messo a dura prova: senza soldi sarà difficile esercitare la politica estera a partire dalle sanzioni contro Assad e Iran. E il segretario di Stato John Kerry nel suo viaggio in Oriente al posto di Obama si preoccupa di rassicurare i paesi alleati: «Il nostro ruolo in Asia non cambia, quello che sta accadendo è solo un episodio transitorio. Passerà». E mentre lo dice spera anche lui di avere ragione.

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