L’IRRAZIONALITÀ DELLA GUERRA

by Sergio Segio | 5 Ottobre 2013 8:24

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Questa logica non nasce dunque da un disegno esplicito o dalle conseguenze di eventi imprevisti come una crisi economica, ma scaturisce da una serie di iniziative che si ispirano ad una particolare aggressività da parte di una o più potenze.
Se ripercorriamo le vicende dell’ultimo secolo, ci accorgiamo che la seconda guerra mondiale rappresentò la strada per superare la Grande Depressione provocata dalla crisi del ’29, mentre, in tempi recenti, è convinzione diffusa che la guerra in Medio Oriente sia stata scatenata dagli Stati Uniti anche per uscire dalla crisi economica che si era manifestata in seguito allo scoppio della bolla tecnologica nell’anno 2000. Indubbiamente, la guerra mediorientale fu favorita dagli attentati dell’11 settembre 2001 che spianarono la strada verso un intervento militare dapprima in Afghanistan e poi in Iraq, la regione che dopo l’Arabia Saudita possiede le più ampie riserve di petrolio.
Nel nostro tempo si stanno dunque accumulando conflitti tra le potenze dominanti e i paesi sottosviluppati e tra gli stessi paesi sottosviluppati che possono risolversi in guerre locali. Ciò succede quando ogni accordo sembra precluso da interessi nazionali ritenuti imprescindibili. In tal caso la guerra appare come un costo che si paga per il superamento di contrapposizioni insanabili e che ricade inevitabilmente sulle categorie più deboli della popolazione. Tutto ciò è irrazionale poiché colpisce persone innocenti e costituisce il lato assurdo della guerra. Nel nostro tempo l’aspetto profondamente irrazionale sta proprio nel fatto che il costo della guerra è quasi sempre superiore a quello dei conflitti che l’hanno provocata. Fanno eccezione quei casi in cui la guerra rappresenta l’esito inevitabile da parte delle popolazioni per riconquistare la libertà e l’indipendenza dai paesi invasori (per esempio le guerre coloniali o la guerra del Vietnam).
La storia insegna che solo la netta superiorità di una potenza su tutte le altre può ristabilire un equilibrio durevole come è accaduto al tempo dell’egemonia americana. Oggi tale egemonia si è notevolmente attenuata mentre si sono accentuate le pressioni dei paesi più arretrati. Queste pressioni vengono contrastate dai paesi capitalisti che usano le loro posizioni dominanti per controllare le risorse strategiche: vedi anzitutto le risorse petrolifere. Ma lo scontro sta diventando sempre più aspro e può giungere il momento in cui non sarà più possibile risolverlo con mezzi pacifici. Nessuno può dire quale possa essere l’esito di questo “affronto” che può dare luogo a modificazioni sostanziali della struttura del potere mondiale. Un cambiamento positivo potrebbe riguardare una più equilibrata distribuzione del potere attraverso un netto rafforzamento dell’Europa. Ma in questo caso il disegno europeo si scontra con le piccole schermaglie nazionali. François Mitterand in un grande discorso al parlamento europeo rilevò l’effetto disastroso dei nazionalismi. Peccato che il suo paese ne abbia dato la dimostrazione più eloquente.
Il fatto più sconvolgente dell’attuale situazione mondiale sta dunque nell’irrazionalità della guerra: il costo totale in termini di risorse distrutte è, nella maggior parte dei casi, nettamente superiore ai vantaggi immediati che i paesi coinvolti ne possono trarre. Il periodo compreso tra l’inizio e la prima metà del secolo scorso quando l’Europa fu teatro di 100 milioni di morti ne è un esempio lampante.
Per questo motivo è più che mai necessario impegnarsi per costruire un governo mondiale che abbia la capacità di intervenire in modo democratico per scongiurare quelle situazioni conflittuali che potrebbero avere un esito nefasto. L’Onu rappresenta oggi la sede preposta per adempiere a tale compito: occorre, però, concepire delle regole più stringenti e delle capacità di intervento più efficaci che siano riconosciute e accettate a livello globale.

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