La notte insonne, poi la giornata «storica»
ROMA — La determinazione sarà la stessa dei primi cinque mesi, ma adesso che il suo governo è sostenuto da una maggioranza libera dai ricatti, Enrico Letta promette «un pochino di spinta e di cuore in più». Forte di un «nuovo patto politico» giura che mai scadrà su soluzioni di basso profilo, rilancia l’agenda delle riforme e guarda dritto al 2015. Il premier lo dice alla Camera, chiudendo un discorso più breve e intenso di quello del Senato. Richiama il durissimo monito di Napolitano il giorno in cui accettò il secondo mandato e marca a braccio, con tutta la nettezza possibile, la distanza tra l’esecutivo e il destino giudiziario di Berlusconi. «Riprendiamo il filo, a patto che il risultato del voto sia come lo intendo io…». Ed è qui che strappa i «bravo!» e le ovazioni del suo partito.
Era questo, per il premier, il rischio più grande. Incassare la fiducia dell’intero Pdl ma ripartire con un governo debole, prigioniero «delle minacce e degli ultimatum». Un pericolo che ora sente di avere scongiurato: «Questa maggioranza politica coesa è diversa dalla maggioranza numerica». È il passaggio chiave, con cui Letta neutralizza i falchi mettendo a verbale, con una punta di orgoglio, che «la maggioranza ci sarebbe stata comunque». Anche senza i voti di Berlusconi.
Ma adesso l’inquilino di Palazzo Chigi sa bene che il suo governo deve ripartire a razzo se vuole battere la crisi e tutti coloro che, come Renzi, gli rimproverano di guidare l’esecutivo dei rinvii. «D’ora in avanti si cambia passo», assicura. Accelera sulla riforma costituzionale e sulla legge elettorale, perché «il Porcellum è il male assoluto». Tema esplosivo, sul quale si innesca un momento di tensione nel Pd quando il premier alla Camera annovera Roberto Giachetti tra coloro che, invece di lavorare alle necessarie mediazioni, preferiscono «piantare bandierine». Il vicepresidente democratico, che aveva presentato una mozione sul ritorno al Mattarellum, imbocca la porta dell’Aula in segno di protesta e si sfoga su Twitter, «il dente batte dove la lingua duole». Ecco, il «nuovo» e più battagliero Letta ha deciso in cuor suo di non fare sconti, perché «gli italiani non ne possono più di sangue e arena». Basta dipingere i risultati del governo «con il colore nero» ,avverte, ed elenca tutto ciò che ha fatto per abbassare la spesa e battere la disoccupazione. Pur di ottenere chiarezza e sventare una fine «fatale per l’Italia», ricorda come si sia assunto il rischio di «cadere in piedi», affrontando una drammatica conta: «Basta risse, e se non daremo risposte agli italiani, sarò il primo a tirare le conseguenze».
Una settimana «su e giù tra fiducia e sfiducia», poi una notte di timori e di insonnia. «Non ho dormito», rivela Letta ai senatori, concedendo una rara nota personale. «Non ho dormito per la percezione che sarebbe stata una giornata dai risvolti storici per la democrazia». Lui l’ha vissuta esibendo una gestualità nuova, regalando ai fotografi l’istantanea del premier che si chiude la bocca con la cravatta e una lunga serie di baciamani alle parlamentari che, via via, sono andate a omaggiarlo. «Hai vinto perché sei diversamente rivoluzionario», lo loda Paola De Micheli.
Quando Mario Monti quasi lo candida alla guida dei moderati Letta, spiazzato, gli chiede a larghi gesti delle mani di frenare e poi, con un sorriso, rimarca il concetto facendo il segno delle forbici. E quando Berlusconi annuncia a sorpresa che il Pdl avrebbe votato la fiducia, Letta si volta verso Alfano con un sorriso che dice insieme stupore e ironia: «È un grande!» .
Monica Guerzoni
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