L’orizzonte «non precario» del Colle: un patto per arrivare al 2015

by Sergio Segio | 2 Ottobre 2013 6:27

Loading

ROMA — Vuole una «chiarificazione piena delle varie posizioni politiche», in grado di «avere come sbocco un impegno non precario». Dal confronto in Aula deve insomma uscire una maggioranza con numeri certi e senza fragili alchimie o baratti dell’ultima ora, un’alleanza solida e credibile, che abbia ricontrattato la propria coesione, dunque non esposta ad altre fibrillazioni, compravendite o ricatti a breve e medio termine. Un’intesa tale da permettere al governo di non tirar a campare schiacciato sul piccolo cabotaggio, ma di portare davvero a termine gli interventi necessari al Paese: «dalle prime scadenze più vicine agli obiettivi da perseguire nel 2014» (su un orizzonte che va pertanto proiettato fino al 2015), con misure mirate al risanamento dei conti pubblici, al rilancio dell’economia, al perfezionamento di alcune riforme.
Ecco le raccomandazioni che il presidente della Repubblica ha rivolto ieri mattina a Enrico Letta (accompagnato dal ministro Dario Franceschini), durante un incontro convocato apposta per configurare «il percorso più limpido e lineare» nella verifica di oggi in Parlamento.
Punto di partenza sarà il discorso al culmine del quale il premier chiederà la fiducia e che dovrà incardinarsi su un programma — secondo i consigli di Napolitano — necessariamente ambizioso. E senza più trattare. Per la personale reputazione dello stesso Letta, che dopo l’eventuale ripartenza non dovrebbe essere più condizionabile a ogni batter di ciglia di coloro che hanno sottoscritto il nuovo patto politico. Ma ambizioso anche per lo stesso interesse nazionale, visto che da domani l’Italia tornerà a essere sotto speciale osservazione, in Europa e non solo: un esame che è tra i maggiori assilli del Quirinale, per gli allarmi risuonati da Bruxelles e dalla comunità finanziaria internazionale.
Per risolvere la crisi, quindi, carte in tavola e niente trucchi. Sarà la prova della verità per Palazzo Chigi e per lo stesso capo dello Stato, che questo governo «senza alternative» ha ideato e protetto dopo l’impasse prodotta dalle elezioni del 24 e 25 febbraio. Napolitano ieri ha seguito ora per ora i resoconti di una giornata frenetica di negoziati, rilanci, vertici più o meno segreti, segnati da intermittenti ricadute di euforia o cupezza. Con il Pdl sull’orlo della scissione e tutti gli osservatori politici (al pari del Colle) intenti a chiedersi se Silvio Berlusconi smentirà con un passo indietro la sua proclamazione di crisi o se, piuttosto, intignerà sulla linea del cupio dissolvi, a costo di spaccare il partito. Una prova di forza molto complicata, come dimostra il fatto che il Cavaliere non si è potuto permettere espulsioni (perché sarebbero state di massa) per evitare la diaspora dei dissidenti.
Ma questo non è l’unico fronte del chiarimento. Per evitare sorprese dal versante del centrosinistra, Letta (secondo fonti parlamentari su probabile suggerimento del presidente) ha voluto incontrare pure Matteo Renzi, incassando una garanzia di non belligeranza verso il suo governo. Questione della fiducia a parte, in una fase così delicata stanno pesando anche certi altri segnali di ostilità e incontrollato furore berlusconiano — chiamiamolo così — piovuti sul Quirinale per via mediatica.
Il primo, dell’altra sera, attraverso la trasmissione di un fuorionda di una telefonata nella quale il Cavaliere accusava il capo dello Stato di aver esercitato pressioni sui giudici della Cassazione prima del verdetto sul lodo Mondadori. «Un’invenzione delirante e volgarmente diffamatoria», aveva ribattuto con durezza il Colle. L’altro segnale è venuto ieri sera, con la diffusione dei contenuti di una lettera al settimanale Tempi , in cui Berlusconi dichiara la propria sfiducia in Napolitano e Letta perché «non ponendo la questione della tutela dei diritti politici del leader del centrodestra, distruggevano un elemento essenziale della loro credibilità e minavano le basi della democrazia parlamentare». Insomma, il solito tormentone del salvacondotto. Una doppia sparata che al Quirinale non vogliono neppure commentare. Spiegandosi così: non parlate di duello tra Berlusconi e Napolitano, perché il duello prevede due avversari in campo… Questo è un attacco alla più alta carica dello Stato.
Marzio Breda

Post Views: 192

Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2013/10/2013-10-02-06-27-43/