Via il bando sul velo, Erdogan: è democrazia

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Un unico annuncio per due iniziative diverse, verso la minoranza curda e verso le donne. Comune a entrambe, nell’ottica del premier Tayyip Erdogan, è «la democratizzazione», l’allargamento degli spazi di libertà in Turchia. I curdi potranno mandare i figli in scuole private dove l’insegnamento nella loro lingua non sarà più proibito. Potranno usare il loro idioma nelle campagne elettorali, e riusciranno finalmente ad avere una consistente rappresentanza in Parlamento visto che l’abbassamento della soglia di ingresso dal 10 al 5% sembra indirizzata a favorire principalmente loro.
Quanto alle donne, cade il tabù laicista che impediva alle impiegate statali di indossare il velo. Un passo in avanti verso il riconoscimento del diritto a seguire i dettami della propria fede religiosa, secondo il partito islamico al governo, l’Akp (Giustizia e sviluppo). Ma per gli avversari è uno strumento subdolo di coercizione verso quelle donne che sinora potevano farsi scudo delle leggi vigenti per resistere alla pressione di ambienti sociali e familiari conservatori. Per ora il bando resta per alcune speciali categorie di dipendenti statali: magistrati, poliziotti, militari.
Erdogan parla di «momento storico». Le aperture ai curdi dovrebbero spianare la via alla fine della rivolta separatista, perché sono parte di un’intesa raggiunta qualche mese fa con il movimento armato Pkk. Ma Gultan Kisanak, leader del partito legale curdo Pace e democrazia, già lamenta l’insufficienza dei provvedimenti. E Sezgin Tanrikulu, capo del principale partito d’opposizione Chp, liquida la riforma del sistema elettorale come un trucco dell’Akp per avvantaggiare se stesso.
L’APPELLO
Sarà interessante vedere quale accoglienza avrà l’altra parte del pacchetto di riforme, quella che interessa le donne. Due mesi fa a favore di una totale abolizione dei divieti a indossare lo hijab in pubblico si era mobilitato un gruppo di intellettuali e professioniste con una petizione dal suggestivo titolo «Fine dell’ingiustizia». Coprirsi la testa era presentato come un diritto conculcato da leggi liberticide. Il documento, sottoscritto da 57 giornaliste, artiste, docenti universitarie e attiviste politiche definiva le donne come «le più grandi vittime di uno sviluppo politico che in Turchia negli ultimi vent’anni si è mosso lungo l’asse della contrapposizione fra Islam e secolarismo».
Le prime leggi contrarie all’uso dei copricapo tradizionali, compreso il fez per i maschi, furono varate nel 1924 dopo il collasso dell’impero ottomano. Erano ispirate alla stessa logica modernizzatrice e liberalizzante con cui si estese il voto alle donne, venne abolita la poligamia e promossa l’istruzione femminile. Ma la normativa anti-hijab divenne particolarmente rigida a partire dagli anni ottanta nel clima ultra-nazionalista del dopo-golpe. E venne codificata in maniera ancora più restrittiva dopo un altro pesante intervento dei militari nella vita politica del Paese, nel 1997, dopo le dimissioni forzate del premier Erbakan, leader del partito islamico progenitore dell’Akp.
Il clima è però notevolmente cambiato negli ultimi anni. La svolta risale al 2007, quando l’Akp rivinse le elezioni parlamentari con un margine talmente ampio da indurre alla retromarcia il movimento laico-nazionalista che si era mobilitato intorno all’obiettivo di impedire l’elezione di Abdul Gul, compagno di partito di Erdogan alla presidenza della Repubblica. Da allora progressivamente il peso degli islamisti nelle istituzioni è cresciuto, mentre nei ceti medi urbani diminuiva la pregiudiziale ostilità nei loro confronti.
Senza particolari difficoltà nel 2010 è stato consentito di portare il velo nelle università. Sullo hijab il movimento femminista turco è diviso, ma non nella critica alla politica di Erdogan che complessivamente non favorisce i diritti delle donne. La sua posizione sull’aborto è molto semplice: anziché pensare a interrompere la gravidanza, ogni concittadina metta al mondo almeno tre figli meglio quattro per accrescere il peso demografico nazionale. Quanto all’alto tasso di violenza contro le donne, per Erdogan si tratta di statistiche esagerate.


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