«Cassazione, il Colle intervenne» Il presidente durissimo: delirante

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Se domenica pomeriggio chi viaggiava assieme a lui da Napoli a Roma lo aveva visto «esterrefatto» per la dichiarazione con cui Berlusconi annunciava, in piena contraddizione con se stesso, che avrebbe «votato la legge di stabilità», chissà quali umori potevano dominare il presidente della Repubblica ieri sera. Che cosa si potrebbe evocare, infatti, per andar oltre lo sbigottimento e l’incredulità? Con quali sentimenti il capo dello Stato può aver considerato la sortita nella quale il Cavaliere ha indicato come «finita» l’esperienza del governo Letta, ma è pronto a concedergli «sette giorni per approvare i decreti su Imu e Iva e per la legge di stabilità». Sette giorni (come si fa con la servitù), per poi andare alle urne e «vincere», ha detto ai suoi. Il leader del centrodestra ha dunque assorbito i dissensi interni al Pdl e, forzando la mano, decide di scaraventare Enrico Letta — e l’Italia — dritto verso l’abisso di una crisi al buio. E senza possibilità d’appello.
Un macigno sul futuro di tutti. Ma non l’unico. All’ora di cena su La7 la trasmissione «Piazzapulita» mandava in onda un’esclusiva con una telefonata di Silvio Berlusconi con un esponente pidiellino. Un colloquio «captato» mentre era in corso un’intervista, in cui l’ex premier si sfoga alludendo al verdetto da 494 milioni di euro della Corte suprema sulla «guerra di Segrate». Riferisce d’aver saputo «che il capo dello Stato avrebbe telefonato per avere la sentenza prima che venisse pubblicata»… Dopodiché — aggiunge — il presidente avrebbe «ritelefonato e fatto ritelefonare da Lupo (suo consigliere giuridico, n.d.r .) al presidente della Cassazione, che ha chiamato il presidente di Sezione costringendolo a riaprire la camera di consiglio… Una cosa che non succede mai! Perché la sentenza era già pronta il 27 di giugno». E la ricostruzione di questo preteso intervento nell’ombra, e del relativo ritardo nel pronunciamento che lo riguardava, il Cavaliere la associa ad alcuni effetti concreti che lo avrebbero toccato in prima persona. Nel senso che, senza l’intervento quirinalizio, i giudici avrebbero ridotto molto di più (per 200 milioni di euro) la somma dovuta da Berlusconi alla Cir.
Sospetti pesantissimi. Le prime repliche dal Quirinale parlano di follia assoluta e di delirio. Il retropensiero dello staff è che l’ipotesi adombrata — peraltro in termini dubitativi — dal Cavaliere al telefono è con tutta evidenza una polpetta avvelenata. Funzionale a mettere altri ostacoli sul lavoro del presidente. A tentare di delegittimarlo proprio alla vigilia di ormai scontate decisioni di rilievo istituzionale. Un giudizio confermato nella notte, dopo che la trasmissione è andata in onda, attraverso un comunicato del Colle grondante d’indignazione: «Quel che sarebbe stato riferito al senatore Berlusconi circa le vicende della sentenza sul Lodo Mondadori è semplicemente un’altra delirante invenzione volgarmente diffamatoria nei confronti del capo dello Stato». E lo stesso presidente della Cassazione, Santacroce, si fa sentire, bollando come «pura fantascienza» i contenuti della telefonata.
Insomma, la tesi è che su Napolitano è stata lanciata un’insopportabile palata di fango, pescata nella palude di retroscena veri, verosimili ma più spesso inventati sul rapporto tra presidenza della Repubblica e un Berlusconi sotto un fortissimo stress e ormai prossimo alla decadenza da parlamentare. Una nuova manovra fra le tante, in una giornata kafkiana, piena di paradossi, finzioni, ambiguità accolte con grande sconcerto al Quirinale. Su tutte, la questione delle dimissioni dei ministri del Pdl, confermate ma congelate. Chiuse in un cassetto in attesa di non si sa che cosa. E senza che nel frattempo si profili una retromarcia del centrodestra sulla volontà di togliere la fiducia all’attuale inquilino di Palazzo Chigi. Si tratta dunque di un gioco più mediatico che politico, che passa attraverso un balletto di annunci contraddetti poche ore dopo esser stati resi pubblici. Un rebus che pare studiato ad arte per confondere, perché non a caso le dimissioni, quando vengono date, dovrebbero far scattare subito l’interim, specie se riguardano dicasteri come gli Interni, che non può essere neppure per un minuto senza il titolare.
Clima intossicato. Tatticismi spregiudicati. Il capo dello Stato segue queste oscillazioni in un preoccupato silenzio. La sua parte l’ha fatta e adesso il destino del governo è nelle mani di Enrico Letta, e soprattutto del Pdl e del Cavaliere. Ma non tanto perché sul Colle si confidi sul serio che cambi idea, anche se (com’è successo altre volte in passato) è pur sempre possibile che la cambi. Domani il premier sfiderà l’aula con un discorso i cui punti chiave sono stati già anticipati a Napolitano l’altra sera.
Marzio Breda


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