Alfano guida i ministri: «Non ci faremo intimidire»

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ROMA – I cinque ministri del Pdl si muovono come una pattuglia. A tratti determinata. A tratti disorientata. Nella notte, delusa ma per niente domata. Alfano, Lorenzin, De Girolamo, Quagliariello, Lupi: sempre assieme, per tutta la giornata di ieri. Pochissimi i momenti d’intimità.
Assieme, leggono con sospetto un articolo del Giornale , nel quale il direttore Sallusti li equipara a «quel genio di Fini». Assieme, nel primo pomeriggio, dicono a Berlusconi che ha sbagliato tutte le ultime mosse, che non può decidere in base ai consigli di quattro «falchi». Con un sentimento comune, a sera, escono dalla riunione dei gruppi parlamentari dopo il monologo di Berlusconi: non soddisfatta la Lorenzin, nessun problema risolto per Lupi, ascolterà Letta in aula e poi deciderà, Quagliariello. Alfano ha un drammatico incontro a due con Berlusconi a palazzo Grazioli nella notte. Minaccia di lasciare il partito, di formare gruppi autonomi pro Letta.
I cinque si sentono impegnati in una «battaglia vera» e sono intenzionati a restare uniti, proprio per non essere messi in difficoltà uno per volta e raggiungere Fini nel ridotto della politica. Sono convinti che ci sia ancora spazio per combattere: chiedono più democrazia interna, vogliono che deputati e senatori Pdl, prima della fiducia o sfiducia al governo in Parlamento, si esprimano con un voto sulle decisioni da prendere. Non come è accaduto ieri: Berlusconi parla, ogni replica vietata. «Ridicolo», ha sussurrato qualcuno. L’obiettivo dei ministri è portare il partito a dare la fiducia a Letta.
Se questo non riuscisse, tutti pensano che a strappare per primo dovrebbe essere Alfano, che è segretario del Pdl e vicepremier, più alto in carica dunque, quello con maggiori responsabilità, ma lui è tormentatissimo. I contatti sono febbrili, le valutazioni su un esodo dal partito molteplici. Ma ancora si valuta se fare semplicemente una corrente interna, l’abbandono di Berlusconi è più che quello di un padre… Quagliariello aveva ipotizzato ieri sul Messaggero un nuovo partito moderato, ma poi si era corretto. Aveva lanciato il segnale, ma s’era fermato sull’uscio. E siamo ancora a quel punto, si studia, si valuta, si soppesa l’addio. «Se Forza Italia diventa come i greci di Alba dorata, un partito che considera traditori quelli che la pensano diversamente…», aveva detto la Lorenzin.
Ieri non ha ottenuto quello che voleva, la «pattuglia dei ministri»: una marcia indietro del leader, un ripensamento sulle loro dimissioni, una distinzione fra il cammino del governo e le vicende giudiziarie di Berlusconi. «Cancellare ogni impegno istituzionale»: la giornata di Alfano, Quagliariello e degli altri comincia così. Poi, c’è la lettura del pezzo di Sallusti, che li accusa di voler restare al governo «a metter su tasse». I cinque scrivono una nota comune: «Non abbiamo paura. Sallusti non avrà case a Montecarlo sulle quali costruire campagne». E rievocano l’attacco al direttore dell’Avvenire , Dino Boffo, sulla base di un’informativa anonima: «Il metodo Boffo non funzionerà con noi». Pronto, Sallusti: «Neppure io ho paura».
Arrivano a Palazzo Chigi le dimissioni «irrevocabili» di tutti e cinque dal governo. L’ordine di Berlusconi è stato eseguito, ora è più facile avanzare critiche. Berlusconi riceve i cinque ministri a Palazzo Grazioli, prima della riunione plenaria dei gruppi parlamentari fissata per le diciassette e se li tiene lì per oltre due ore. Alfano si è prefigurato «diversamente berlusconiano»? Non è risultata un’espressione gradita. «Sono in completo disaccordo con la linea politica seguita in questi giorni — esordisce Quagliariello, già repubblicano, già radicale —. Le elezioni anticipate sono un danno per il Paese, per il centrodestra, per te personalmente, Silvio». E propone: «Ascoltiamo Letta in aula, sentiamo cosa dirà su giustizia, economia, amnistia e riforme. Poi decidiamo». Gli altri non sono da meno. Toni duri (più cauta Nunzia De Girolamo): «Non possiamo tollerare che ascolti soltanto Verdini, Ghedini, Santanchè, Bondi…». E ancora: gli errori, i danni al partito, la «buffonata» delle dimissioni dei parlamentari, la tempistica sballata. Berlusconi ascolta, smussa, non prende posizione. Nel cortile di Palazzo Grazioli Lupi, Quagliariello e Lorenzin discutono animatamente. Scuotono la testa.
La scena si sposta a Montecitorio. Berlusconi, davanti a quasi duecento deputati e senatori, striglia i cinque: «Con i ministri ho chiarito. Sono in buona fede, ma ho detto loro che i panni sporchi si devono lavare in famiglia». Quagliariello esce con la faccia scura, molto scura. La giornata non finisce in gloria. Nuova riunione dei cinque da Alfano, a Palazzo Chigi. Poi Alfano torna a casa Berlusconi.


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