by Sergio Segio | 25 Settembre 2013 6:20
Così, nonostante il presidente del Consiglio continui a scommettere sul futuro del suo governo di grande coalizione, i partiti che lo sostengono non fanno molto per puntellare la sua convinzione. Le udienze che ieri il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha concesso al vicepremier e segretario del Pdl, Angelino Alfano, al ministro per i rapporti con il Parlamento, Dario Franceschini, e al segretario del Pd, Guglielmo Epifani, sono avvenute su uno sfondo di incertezza persistente.
E servono a ridurla. L’obiettivo del Quirinale rimane sempre lo stesso: impedire che la situazione diventi incontrollabile nelle prossime settimane. Per questo, sebbene l’aumento di un punto percentuale di Iva sia già deciso, prima dell’anno prossimo la misura non sarà formalizzata. Per lo stesso motivo Berlusconi ha rinviato di nuovo l’offensiva in tv, preferendo affidare la propria difesa alla figlia Barbara e alla fidanzata Francesca Pascale. Non si vogliono offrire pretesti a chi, nei maggiori partiti alleati, cerca l’occasione per rompere. E soprattutto, l’ex premier è ancora combattuto fra la tentazione di reagire duramente e la consapevolezza che le sue vicende giudiziarie potrebbero avere un esito ancora più negativo.
L’impressione è che, se la coalizione anomala di Letta riesce a prendere tempo, un’eventuale crisi diventerebbe improbabile; e crescerebbe di riflesso la possibilità che il governo si proietti nel 2014. Significherebbe arginare il pericolo di tornare sotto i riflettori europei per uno sfondamento dei limiti alla spesa pubblica; e di subire gli attacchi della speculazione finanziaria. D’altronde, la proposta apparentemente surreale di un accordo di metà legislatura riflette l’esigenza di evitare che le cose precipitino. Quirinale e palazzo Chigi scommettono, se non sul senso di responsabilità delle forze politiche, sulla loro debolezza e sulla convenienza a non compiere passi falsi. È una strategia che unisce ministri sia del Pd che del Pdl; ma lascia freddi, se non ostili, ampi settori di entrambi i partiti.
Eppure, le larghe intese sono la conseguenza di una difficoltà oggettiva di formare maggioranze. Il ministro delle riforme Gaetano Quagliariello registra «la novità» di una crisi contemporanea dei grandi partiti e delle istituzioni. Quagliariello indica nei diciotto mesi che Enrico Letta ha evocato come durata ragionevole dell’esecutivo il termine minimo per non tornare indietro: interrompendo la legislatura, andando a elezioni anticipate per ritrovarsi magari con un parlamento senza maggioranze e più delegittimato di adesso. Il timore è una frammentazione crescente; e un rafforzamento delle posizioni più estreme e antisistema. Il caso della Germania continua a tenere banco, per due ragioni.
La prima è che il trionfo della cancelliera Angela Merkel non esclude la trattativa per formare anche lì una grande coalizione, in assenza di una maggioranza assoluta; e dunque giustifica quella italiana. La seconda è che, dopo il voto tedesco, «non ci sono più alibi», secondo Enrico Letta. «Dobbiamo mettere la crescita al centro dell’Ue». È una possibilità, tuttavia, non una certezza, tenendo conto degli umori dell’opinione pubblica nei confronti dei Paesi mediterranei. L’immagine di precarietà e di nervosismo che Pd e Pdl trasmettono, sovraespongono palazzo Chigi e rendono più faticoso il tentativo di accreditamento che il premier sta facendo all’estero. E le incognite sul destino giudiziario di Berlusconi continuano a essere un’ipoteca ineludibile per il futuro della legislatura.
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