UNA CERTA IDEA DI PARTITO

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Sembra che le varie tendenze presenti nel Pd e i leader che ne sono a capo non si rendano conto che offrire all’opinione pubblica la prova di non essere in grado di dotarsi di un gruppo dirigente adeguato significa al tempo stesso dare la prova di non avere la capacità di dirigere il Paese. Un messaggio devastante. Se poi ne fossero consapevoli – e credo che lo siano – , allora la questione sarebbe davvero di massimo allarme, perché testimonianza di una impotenza che corrode le fibre più profonde.
L’Assemblea era chiamata in primo luogo ad avviare un processo di credibile ristrutturazione del partito, ma non ha avviato pressoché niente. I giornali hanno parlato non a caso di caos. Tutti nel Pd insistono che i candidati alla segreteria presentino una loro chiara idea di partito: in effetti è di questo che in primo luogo si tratta e su ciò si sfidano i Renzi e i Cuperlo, sostenuti dai loro supporters. Ma occorre sottolineare che al centro dell’intero dibattito
vi è la sfida lanciata dal sindaco di Firenze. Ed è su questa che intendo soffermarmi, anche per i pesanti rilievi che gli vengono rivolti in modo segnatamente aspro da Bersani e dai suoi. L’atteggiamento di Bersani nei confronti di Renzi è improntato alla decisa diffidenza verso un personaggio accusato di essere pronto a demolire ma incapace di costruire e sul quale non si esita a far gravare il sospetto di mirare con uno stile neoberlusconiano a trasformare il Pd in un partito al servizio della sua persona. A Bersani fanno eco Cuperlo e D’Alema, l’uno affermando che non vi è bisogno di un profeta e l’altro che il sindaco di Firenze non è consapevole delle responsabilità che comporta il ruolo di segretario di un grande partito. Per contro la critica assai pesante di Renzi a Bersani e ai suoi concorrenti è di non saper perseguire cambiamento e innovazione e di formare una congrega di conservatori. È una competizione davvero aspra e pericolosa quella in corso nel Pd.
Scuote il Pd il fatto che il sindaco stia ottenendo ampi consensi nelle tradizionali “roccheforti rosse”. Egli ripete di voler: offrire al Pd una leadership nuova, forte; smantellare i gruppi di potere che sbarrano la strada alle energie che chiedono di emergere; porre fine alle correnti che ne paralizzano la vitalità; rilanciare la speranza nella vittoria; dare al Paese un governo che lo riportidnelle prime file dell’Unione Europea. Gli scopi che Renzi propone al “suo Pd” sono molto ambiziosi. Ricordano quelli di Veltroni nel 2007; e non è un caso che questi ne sia diventato un sostenitore. Ora Renzi prospetta la possibilità di una vigorosa ripresa, a condizione di archiviare lo stato presente delle cose e mostra di aver compreso quanto profonda sia la crisi che ha investito le vecchie forme di partito; e sostiene che per avere un partito all’altezza dei compiti del presente e del futuro bisogna liberarsi dal lascito irrimediabilmente logorato di ciò che era il Pci con le sue sezioni, i suoi apparati burocratici, ecc. ecc. Ha buone ragioni. D’altra parte i “partiti liquidi” privi di spina dorsale, che fanno appello al fascino supposto o reale dei nomi gridati dei loro leader – per non parlare di quelli tout court padronali che si propongono periodicamente di salvare l’Italia mentre l’affondano oppure di fare terra bruciata in attesa di una rinascita garantita da oscure miracolistiche ricette – altro non sono se non seminatori di miseria politica. Quando sostiene che si impone un partito rinnovato alle radici, Renzi piace a un numero sempre maggiore di persone del Pd o che guardano ad esso. Non sembrano però sufficienti le indicazioni su quali siano le fondamenta che intende gettare. Egli ama in particolare richiamarsi alla rete dei sindaci come ad un mattone importante. È uno spunto interessante. Ma chi insiste sulla necessità di creare «un nuovo partito» deve tracciarne le linee e il programma in maniera articolata e organica e non lasciare dubbi sul posto del Pd nelle famiglie del Parlamento europeo. Viviamo in una società in cui domina il problema delle diseguaglianze, economiche e non solo. Con quale proposte ritiene di affrontarlo il partito che ha in mente Renzi? Nodo importante, dal momento che non mancano coloro che in campo sociale lo dipingono come un conservatore camuffato. Gli si rimprovera un eccesso di leaderismo, di sbrigarsela con facili battute polemiche, insomma di non avere nella sostanza un’idea né di partito né di sinistra. Renzi sue risposte in vari documenti e anche nell’ultimo intervento all’Assemblea in vero ha già dato, ma crediamo debba fare di più. Non sarebbe male se dai leader più autorevoli dei “partiti forti” tramontati egli – e con lui gli altri candidati alla segreteria – riprendesse la buona pratica di presentarsi agli italiani con un discorso tanto essenziale quanto limpido, che illustri e colleghi gli elementi costitutivi del suo programma offrendo ai sostenitori, agli avversari e all’intero Paese un ben leggibile metro di giudizio, su cui riflettere in vista delle scelte di ciascuno.


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Un’altra Italia

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La favola è finita. Il berlusconismo come narrazione epica e proiezione carismatica cade sotto i colpi della nuda verità . Non c’è più spazio per la menzogna sistematica, la propaganda populistica, la manipolazione mediatica. Questa volta il presidente del Consiglio non può brandire sondaggi posticci come armi di distrazione di massa. Questa volta c’è il voto di tredici milioni di italiani, a dimostrare che la sua parabola politica non è un «destino ineluttabile», e nemmeno una «biografia della nazione».

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