UN PAESE CHE CERCA LA RINASCITA ALL’OMBRA DELL’ANNIVERSARIO

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A 40 anni di distanza si possono ancora imparare cose nuove dall’11 settembre del 1973 e dal Cile. Scompongo in tre elementi questo anniversario visto dall’Italia: l’impatto del golpe di Pinochet nell’Italia del 1973, che fu enorme, forse il più alto nel mondo, la curiosità di sapere cosa è diventata oggi quella terra, cosa ci può dire politicamente, e la presenza di aspetti poco noti di quella vicenda, ma fondamentali per una coscienza della democrazia. La mia vicenda personale di ragazzo italiano di sinistra arrestato per 21 giorni a Santiago del Cile era e fu poca cosa rispetto all’enormità del golpe. Ma quando si torna a parlare di quel capitolo di storia lo status di unico ex arrestato italiano mi dà una strana forza dentro. Molte sono le commemorazioni nei prossimi giorni, soprattutto a Milano, ma il rischio in Italia è che ci si fermi a un dato autoreferenziale, come se ci fosse solo da ricordare quanto siamo stati giusti, e niente da imparare.
Il Cile oggi è un paese dove si possono trovare tutte o quasi le questioni che agitano la nostra modernità e al quale capita, talvolta, di nuovo di essere avanti. Sarà una coincidenza ma val la pena far sapere che nel centro di Santiago – ora per la prima volta condotto da una sindaca di centro sinistra, Carolina Tohá – il seminario internazionale sulla figura di Allende è stato introdotto dalla presidente uscente della Camera, Isabel Allende, figlia di Salvador e grande politica e concluso dalla ex Presidente e di nuovo candidata favorita alla Presidenza Michelle Bachelet. Mentre il sindacato CUT diretto dalla sua neo-presidenta Figueroa ricordava i 43 anni dalla vittoria di Unidad Popular. È tale questo momento femminile cileno che anche la destra schiera una candidata, Evelin Matthei, per la sfida presidenziale di novembre.
Una delle donne della squadra di Allende, Patricia Espejo, ora presidente della Fondazione Allende, sta pubblicando le sue memorie. Ricorda che nel pomeriggio del 10 settembre il “doctor” convocò alla Moneda i vertici di Forze Armate e Carabinieri per comunicare la decisione di indire un referendum sulla legittimità del suo governo che era in minoranza al Parlamento. L’avrebbe annunciato il giorno dopo, 11 settembre, al paese con un discorso dalla Università Tecnica dello Stato. 40 anni dopo non è un’eresia ragionare sul fatto che Allende era arrivato primo per un pelo alle presidenziali, e che lo scontro istituzionale che ha generato il golpe era nella impossibile “coabitazione” tra un Presidente di sinistra e un Parlamento di destra, che però non aveva i due terzi per sfiduciarlo. Rodrigo Andrea Rivas, economista e storico cileno ormai italianizzato, ricorda nello stesso 10 settembre una riunione in cui Allende annunciò il referendum ai dirigenti della sua coalizione, per la metà contrari al “cedimento”, aggiungendo che prevedeva di perderlo ma di salvare così la democrazia e la forza futura della sinistra. Perché se n’è parlato così poco? Ma soprattutto: i militari fecero ugualmente il colpo di stato perché non si fidavano del referendum di Allende? Probabilmente erano ormai lanciati nell’impresa di volere il potere tutto per sé, eliminando fisicamente la sinistra ma mettendo alla porta o in anticamera anche la destra civile. Ci poteva essere un esito diverso?


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