Un diplomatico scalza Bertone

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In Vaticano finisce l’era Bertone. Ieri papa Bergoglio ha accolto le dimissioni del cardinale salesiano – presentate nel 2009, ai 75 anni – e ha nominato come segretario di Stato monsignor Pietro Parolin, ora nunzio apostolico in Venezuela. Il nuovo «primo ministro» vaticano assumerà l’incarico fra un mese e mezzo, il 15 ottobre, prassi in uso per coloro che arrivano da fuori. La sostituzione di Bertone era una delle decisioni più attese Oltretevere da quando Bergoglio era salito al soglio pontificio.

Probabilmente pensava a questo il cardinal di New York, Dolan – uno dei “grandi elettori” di Bergoglio -, che durante la Giornata mondiale della gioventù di Rio, in un’intervista ad un settimanale Usa si lamentava di papa Francesco: «Volevamo qualcuno con buone capacità manageriali e di leadership, ma finora questo si è visto poco». Sembrava che Bertone avrebbe resistito fino a Natale. Invece i nuovi scandali economico-finanziari estivi – Ior e arresto di monsignor Scarano per riciclaggio – hanno suggerito un’accelerazione. Bertone era in carica dal 2006. Venne nominato da papa Ratzinger che riponeva in lui una grande fiducia, anche per i dieci anni trascorsi insieme alla Congregazione per la dottrina della fede (l’ex sant’Uffizio), di cui Ratzinger era prefetto e Bertone segretario.

Nel tempo il salesiano ha concentrato nelle proprie mani un enorme potere, ampliando le competenze della segreteria di Stato – per esempio nella gestione dei rapporti con la politica italiana, una prerogativa della Cei -, trasformandola in una sorta di “imbuto” attraverso il quale doveva passare tutto e piazzando prelati di sua stretta osservanza in alcuni dicasteri chiave, soprattutto economici. Sono stati pure gli anni dei macroscopici errori di governo, anche per responsabilità della Segreteria di Stato: dalla remissione della scomunica al vescovo lefebvriano Williamson, negazionista e antisemita; alla nomina ad arcivescovo di Varsavia di monsignor Wielgus, ex informatore dei servizi segreti comunisti, costretto a dimettersi il giorno dopo il suo insediamento. E soprattutto quelli del Vatileaks, con la diffusione sulla stampa dei documenti riservati, molti dei quali avevano come bersaglio proprio Bertone, segno dei molti nemici che si era guadagnato.

Proprio per questo il suo allontanamento – anche se conserva l’incarico di presidente della Commissione di vigilanza sullo Ior – era visto da molti come il primo passo necessario per ogni riforma della Curia. Con Parolin si torna alla tradizione – infranta da Ratzinger proprio con la scelta di Bertone – dei segretari di Stato provenienti dalla diplomazia. Il nuovo primo ministro vaticano ha infatti una carriera di questo tipo: ha lavorato nelle nunziature di Nigeria e Messico, poi alla sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato, di cui è diventato sottosegretario nel 2002, una sorta di viceministro degli Esteri, occupandosi in particolare di Cina. Nel 2009 viene nominato nunzio apostolico in Venezuela, anche perché Bertone al suo posto voleva piazzare un suo uomo, monsignor Balestrero, poi travolto dal Vatileaks. Ed ora torna in Segreteria di Stato, al posto di comando.

Mentre sono confermati nelle loro funzioni tutti i prelati in servizio con Bertone: agli Affari generali (il «ministero degli interni») e ai Rapporti con gli Stati. Segno quindi di una discontinuità ma non troppo spinta. La nomina di Parolin segue una serie di decisioni di Bergoglio forse preludio ad ulteriori cambiamenti: gli otto «saggi» che lavoreranno alla riforma della Curia (prima riunione ad inizio ottobre), le commissioni di indagine sullo Ior e sulle attività economico-finanziarie vaticane e il nuovo segretario del Governatorato, monsignor Vérgez Alzaga, uno spagnolo della discussa congregazione dei Legionari di Cristo. Nei prossimi mesi arriveranno i primi risultati e solo allora si vedrà in quale direzione andranno le riforme annunciate da Bergoglio.


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