by Sergio Segio | 25 Settembre 2013 7:15
L’ultima della serie, correva l’anno 2005, scaturì da un accordo siglato dopo settimane di trattativa. Il programma di legislatura era di più di 300 pagine, superava in lunghezza anche il “manifesto” elettorale di Prodi del 2006. Come quello, rimase lettera morta. La nostra grande coalizione è nata con un discorso di investitura di mezzora del presidente incaricato. Si prometteva di tutto e di più, negando qualsiasi vincolo di bilancio. Poi c’è stata la stessa paralisi decisionale, seppur più animata che in Germania: liti furibonde in diretta tv non appena ci si è dovuti scontrare con i vincoli di bilancio. Quelli non perdonano.
A differenza dei tedeschi, noi non possiamo permetterci paralisi decisionali. Il Governo Letta ormai agisce solo nella sfera onirica o in quella dei trucchi contabili. La nota di aggiornamento al Def presentata qualche giorno fa dal nostro esecutivo propone scenari macroeconomici da sogno di fine estate. Dovremmo crescere nei prossimi tre anni a un tasso doppio rispetto a quello potenziale, stracciando le stime delle organizzazioni internazionali, senza aver fatto nulla per rendere possibile un simile brusco cambio di passo. In questi scenari è contemplata la coesistenza di alta inflazione (un deflatore del pil al 2 per cento) un ulteriore calo dei consumi delle famiglie e una disoccupazione in crescita. Arduo capire come i tre fenomeni possano realizzarsi in contemporanea. Serviranno magari per stilare tabelle in cui il rapporto fra debito pubblico e pil non sale mai oltre il 130 per cento del prodotto interno lordo, ma questi scenari irrealistici non possono convincere gestori di fondi istituzionali a investire nel nostro paese. Semmai rischiano di indebolire la nostra posizione negoziale a livello comunitario. Sentiamo già le obiezioni mosse a Bruxelles: “se le cose tanto sono destinate ad andare così bene, perché dovremmo concedervi gli spazi di manovra che ci chiedete?”.
Al falso ottimismo si è aggiunta anche l’ingegneria contabile. Si intende rivalutare le quote detenute dalle banche presso Banca d’Italia, un retaggio di quando le banche erano pubbliche. Contente le banche che vedrebbero rafforzarsi la loro posizione patrimoniale. Contento il Tesoro che riceverebbe un contributo per le plusvalenze così realizzate. Meno contenti i contribuenti che dovranno un giorno ricomprarsi queste quote perché una banca centrale non può essere di proprietà di banche private. Rischiano di pagare un conto molto salato perché il prezzo sarà presumibilmente
molto elevato. Sarebbe nell’interesse sia delle banche che del Tesoro. E non ci sono riferimenti di mercato, tant’è che è stata istituita un’apposita commissione di saggi.
Mentre si mette la testa sotto la sabbia coi sogni e l’ingegneria contabile, il Paese rischia di finire, giorno dopo giorno, nelle mani della Troika, senza quasi accorgersene. Era difficile rientrare da un debito al 120 per cento. È molto più difficile farlo da un debito al 130 per cento e in crescita. Se questo governo non vuole essere ricordato per quello che ha ceduto sovranità nazionale, deve trovare un accordo di programma sulla base del quale andare ad aprire una trattativa a Bruxelles. L’accordo dovrebbe essere scolpito nella Legge di Stabilità. La sua filosofia quella di affrontare le emergenze con riforme di lunga portata. Ad esempio, il rifinanziamento della Cassa Integrazione in deroga dovrebbe contemplare il graduale superamento di questo istituto, con integrazioni al salario per chi lavora a meno di 5 euro all’ora, un modo per facilitare la mobilità del lavoro e aumentare l’occupazione. Si dovrà bloccare ogni nuovo accesso alla Cassa in deroga, a partire da quello richiesto per gli ex-dipendenti dei partiti da parte di una grossissima coalizione parlamentare. Potranno, come gli altri lavoratori, degli ammortizzatori sociali ordinari. Altro esempio: si potrebbe ovviare all’aumento dell’Iva, circoscritto possibilmente ai soli beni di lusso, con un taglio del cuneo fiscale, dato che le imposte indirette aumentano la differenza fra il costo del lavoro e il potere d’acquisto dei salari.
Ci dovrebbero poi essere misure di taglio della spesa, che potrebbero trovare attuazione gradualmente, ma con interventi già approvati. Si può partire dallo smantellare la burocrazia creata dal federalismo della Lega, che ha creato duplicazioni, spese locali incontrollate ed un eccesso di centri di potere. Qualche esempio: come giustificare la sponsorizzazione offerta dalla Regione Sardegna alla squadra di calcio del Cagliari? A cosa servono 45 autorità portuali? E non si possono inoltre ridurre gli organici delle Prefetture e abolire per davvero le Province? Inutile sottolineare che tagliare anche questi sprechi è politicamente costoso. La cabina di regia dovrebbe proprio servire a proteggere il governo dagli attacchi forsennati cui verrà sottoposto da chi viene toccato dai tagli. Con queste misure inserite nella Legge di Stabilità è possibile aprire un negoziato con Bruxelles che contempli anche disavanzi superiori al 3 per cento nei prossimi anni. Ma ci vorrà un governo compatto, non una compagine di cui ogni giorno viene messa in discussione la sopravvivenza.
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