Tolto il divieto su tre lettere kurde
Nella crisi siriana, Ankara sostiene i jihadisti contro i kurdi, ma apre al Pkk in vista di una soluzione politica al conflitto interno Il premier turco Recep Tayyip Erdogan ha annunciato per lunedì un pacchetto di riforme nell’ambito delle trattative di pace tra il suo governo e i kurdi: un grosso passo verso la «democratizzazione» di cui «molti saranno sorpresi», ha detto Erdogan senza fornire altri particolari sul pacchetto, coperto dal riserbo fino a dopodomani.
La stampa di Ankara ha intanto anticipato che verrà abolito il divieto di usare le lettere “x, q e w”, entrato in vigore 85 anni fa per decisione di Mustafa Kemal Ataturk. Dopo la fondazione della repubblica, il padre della Turchia moderna decise di passare dall’alfabeto arabo a quello latino, per ridurre l’influenza dell’islam e aprire il paese alla cultura occidentale, e fece proibire per legge l’uso delle tre lettere. Da allora, i kurdi che hanno continuato a usarle pubblicamente, sono stati condannati in base all’articolo 22 del codice penale che prevede fino a sei mesi di carcere.
La difesa della propria lingua madre e il diritto al suo insegnamento è una rivendicazione forte del popolo kurdo. Per l’apertura delle scuole, il 16 settembre, il Consiglio di presidenza dell’Unione delle comunità del Kurdistan (Kck) ha invitato a una settimana di boicottaggio della politica «di assimilazione e genocidio culturale» compiuta dallo stato turco contro la lingua kurda «con il supporto della Costituzione del 1924». Subito dopo, è stata organizzata una «marcia per la lingua madre» a Diyarbakir, principale città kurda, interrotta da poliziotti in tenuta antisommossa. Dopo diversi tentativi di dialogo, sempre finiti male per il movimento kurdo – che combatte da trent’anni – a dicembre il governo ha aperto un nuovo tavolo con il Pkk e con il suo leader in carcere, Abdullah Ocalan.
A marzo, Ocalan ha annunciato un nuovo cessate il fuoco. I combattenti hanno raccolto il suo invito dall’isola d’Imrali, dove il leader sconta l’ergastolo dal 1999. Due mesi dopo, il Pkk ha cominciato a ritirare i suoi guerriglieri – circa 2.500 effettivi – dalla Turchia verso il Kurdistan iracheno. In cambio, il Pkk esige una riforma del codice penale e delle leggi elettorali, il diritto di insegnare il kurdo e una certa autonomia regionale. Sul tavolo anche la questione degli aleviti, una ninoranza musulmana che costituisce il 20% della popolazione turca, e quella dei non musulmani del paese. A inizio del mese, il Pkk ha minacciato di rompere la tregua. Erdogan si è impegnato a dare una risposta entro il 30 settembre con il suo «pacchetto democratico». Una questione che pesa, sia in vista delle elezioni del prossimo anno in Turchia (locali a marzo e presidenziali ad agosto) che nello scenario internazionale, in piena crisi siriana. La Turchia – denunciano i kurdi – sostiene apertamente i gruppi jihadisti e numerose brigate dell’Esercito libero siriano (Esl) che combattono i kurdi nel Kurdistan siriano e lascia aperte le frontiere ad al Qaeda.
La stampa progressista turca riferisce che i militanti kurdi e le milizie dell’Isis (Stato islamico di Iraq e Siria, una delle filiali qaediste in Siria) stanno lottando per il controllo della cittadina di Atma, vicino al confine. «Ankara usa queste bande per combatterci, dà loro cannoni e munizioni, abbiamo le prove: a est di Serekaniye hanno bonificato un campo di mine per garantire loro un passaggio sicuro dal confine. Tutto alla luce del giorno. La Turchia aiuta questa gente che taglia la testa, mangia il cuore dei prigionieri, e violenta le donne» ha dichiarato al quotidiano turco Taraf il leader kurdo Salih Muslim.
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