Tangenti ed escort all’ombra del G8 alla sbarra il Sistema dei Grandi eventi
ROMA — Sembra archeologia, è storia di ieri. Perché tre anni e mezzo dopo il suo svelamento, il sistema Balducci conoscerà un primo giudizio penale. Ci sono voluti infatti più di trentasei mesi per trovare, alla fine, un giudice naturale che decida delle responsabilità dell’ex capo della protezione civile Guido Bertolaso, dell’ex presidente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, Angelo Balducci e di altri sedici tra ex funzionari, uomini delle forze dell’ordine e imprenditori che con loro sono indagati per associazione per delinquere e corruzione (tra questi il costruttore Diego Anemone; l’ex dirigente del dipartimento della Ferratella Mauro Della Giovampaola; l’ex provveditore alle opere pubbliche della Toscana Fabio De Santis).
Istruita a Firenze tra il 2008 e il 2010, l’indagine sul sistema dei grandi appalti pubblici travolse il procuratore aggiunto di Roma Achille Toro e per questo rimbalzò a Perugia dove si arricchì di ulteriori quadri. Su tutti l’attico dell’ex ministro Claudio Scaiola con vista Colosseo acquistatogli «a sua insaputa » dal costruttore e corruttore Anemone. In Umbria, dopo il rinvio a giudizio degli indagati, un tribunale ha quindi impiegato quasi un anno per scoprirsi incompetente e decidere di spogliarsi del dibattimento.
Si è così ritornati a Roma dove il processo comincerà il 10 gennaio come deciso ieri dal gup. A Roma, del resto, quel sistema era nato, a Roma era stato battezzato e brevettato. «Quelli della Ferratella», si facevano chiamare, come una banda di quartiere. Tre anni e mezzo sono un tempo infinito e non è detto, dunque, che il processo riuscirà in tutte le sue parti a sopravvivere alla prescrizione. I protagonisti, nel frattempo, hanno preso strade diverse.
Guido Bertolaso è tornato a fare il medico missionario in Africa. Angelo Balducci è un libero professionista pensionato impegnato a difendere qualche decina di milioni di euro messi via durante la sua luminosa carriera ai vertici dell’autorità nazionale che controlla le regolarità degli appalti pubblici (la procura di Roma gli ha sequestrato 13 milioni di euro). Diego Anemone è un fallito. E alla porta della sua azienda bussa ancora chi ha avuto l’avventura di lavorare con lui e vantare nei suoi confronti crediti per centinaia di migliaia di euro (tra loro anche l’architetto di fama internazionale Stefano Boeri che, come ha documentato l’inchiesta online di Repubblica sulla Maddalena, tuttora aspetta di essere pagato). Il cardinale Sepe, già capo di Propaganda Fide, vive e lavora a Napoli, e i suoi rapporti con l’ex ministro Lunardi, il do ut des tra le due sponde del Tevere che prevedeva l’utilizzo del patrimonio immobiliare della Congregazione per gratificare funzionari e boiardi di stato, giornalisti e politici funzionali al sistema, non ha trovato alcuno sbocco giudiziario di fronte al tribunale dei Ministri di Perugia. Il missionario Don Evaldo Biasini, “don Bancomat”, dicono abbia problemi di salute ed è finito indagato per riciclaggio in uno dei rivoli dell’inchiesta della procura di Roma sullo Ior.
In attesa del processo, un fatto è certo. Che quel sistema, di cui nel 2010 fu possibile ascoltare le voci e fissare protagonisti e comprimari, costruito su piccole e grandi tangenti, su miserabili favori (le prostitute in hotel, i piccoli lavori di falegnameria nelle case di Balducci, solo per ricordarne alcuni), è già stato ampiamente documentato. Il “sistema gelatinoso” (così venne definito dai pm di Firenze) aveva infatti un format a suo modo semplice. Con una costante: a soccombere era sempre lo Stato. Lo Stato commissionava le opere con un sovrapprezzo dovuto ai costi della corruzione. Lo Stato compensava, risarcendoli, gli imprenditori che rimanevano fuori dalle gare. Le opere venivano consegnate in ritardo e spesso con vizi di forma. Tutti i partecipanti a questa giostra si arricchivano, funzionari pubblici corrotti, imprenditori corruttori, clienti e mediatori. Tutti tranne i cittadini con il cui denaro quelle opere venivano finanziate (400milioni di euro per il solo G8 della Maddalena). Il sistema Balducci è stata una delle grandi tasche che hanno regalato ricchezza a pochi e lustro politico a chi (la protezione civile di Guido Bertolaso) poteva vendere al paese l’“efficienza” di una struttura che, libera dagli obblighi di legge, dai vincoli delle burocrazie, costruiva dal nulla grandi opere per grandi occasioni, il G8 del 2009 piuttosto che le opere per i 150 anni dell’Unità d’Italia.
In questa storia e nel processo che si aprirà manca un solo imputato: la politica, che pure in questa storia è ovunque. Il solo a essere rimasto con le mani nella porta è stato l’ex ministro Claudio Scajola (a processo per finanziamento illecito ma si rischia la prescrizione). Di Lunardi si è detto. Per la Protezione Civile ha pagato sin qui solo Bertolaso, che, peraltro, quel sistema non aveva creato da solo e aveva un unico dante causa: l’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.
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