Su Damasco svolta nella notte all’Onu

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E c’è l’annuncio che gli ispettori Onu torneranno martedì prossimo nella capitale siriana Il voto di questa notte, atteso al Consiglio di Sicurezza (CdS) delle Nazioni unite, annuncia che sulla sanguinosa crisi siriana c’è una svolta. «Abbiamo trovato l’accordo con gli Usa», aveva detto in precedenza il ministro degli esteri russo Serghei Lavrov, confermando che i cinque membri permanenti del CdS erano arrivati a un passo da un accordo impensabile fino a pochi giorni fa. Forse non è del tutto corretto parlare di «vittoria» della Russia, alleata di Damasco. Il testo in effetti è duro nei confronti della Siria e del suo regime. Allo stesso tempo gli Stati Uniti escono in parte sconfitti da questa lunga battaglia diplomatica. La bozza di risoluzione non è, come avrebbe voluto Washington (e Parigi), sotto l’ombrello del Capitolo VII della carta Onu, che prevede l’uso della forza verso gli Stati inadempienti. In questo caso si parla di nuova risoluzione, quindi di ulteriore lavoro diplomatico, e non di una automatica operazione militare nel caso la Siria non rispettasse i suoi obblighi per la distruzione delle armi chimiche. La bozza di risoluzione, che si articola in 22 paragrafi, condanna qualsiasi uso di armi chimiche in Siria, e in particolare l’attacco del 21 agosto scorso a Ghouta, a est di Damasco per il quale, a quanto è dato sapere, non indica le responsabilità del regime. «L’uso di armi chimiche – è scritto nel documento – costituisce una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale». Pertanto la Siria non può produrre, usare, acquistare o trasferire alcun tipo di arma chimica e sottolinea che questo vale per tutte le parti nel Paese mediorientale (anche Israele?). Ribadisce che gli Stati che fanno parte dell’Onu non possono aiutare chi tenti di produrre o trasferire tali armi. Afferma che il rispetto siriano dei dettami dell’Opac (che si occupa del controllo e del disarmo chimico) e del CdS delle Nazioni Unite saranno monitorati su «base regolare» ogni 30 giorni a partire dall’adozione della nuova risoluzione. La Russia si è detta pronta a contribuire al controllo dei siti di armi chimiche siriani, quando il presidente Bashar al Assad le distruggerà assieme alle fabbriche dove si producono. Le riserve di agenti chimici dell’arsenale siriano sarebbero di mille tonnellate, di cui circa 300 di gas mostarda, in gran parte allo stato liquido, da assemblare per essere caricate in razzi o proiettili d’artiglieria. Significa che sono relativamente più facili da neutralizzare e più difficili da nascondere, almeno stando a quanto riferiva ieri il Washington Post . In contemporanea all’annuncio che gli ispettori dell’Onu torneranno martedì prossimo a Damasco per proseguire la loro missione di indagine, non pochi analisti sottolineano in queste ore che la mancanza di prove dell’uso da parte delle forze governative siriane di armi chimiche lo scorso 21 agosto a Ghouta, ha contribuito ad ammorbidire, e non poco, la posizione americana al CdS a vantaggio della linea russa. Passano le settimane ma nessuno ha ancora visto in pubblico le prove «inconfutabili» che gli Usa dicevano di aver raccolto a sostegno di un loro attacco militare contro la Siria. Anzi, secondo le indiscrezioni che circolano anche in ambienti diplomatici italiani, i satelliti-spia americani non confermerebbero affatto la responsabilità del regime mentre regna la confusione, a dir poco, intorno al numero presunto delle vittime dell’attacco e sui luoghi dove sarebbero stati sepolti i corpi dei siriani, adulti e bambini, morti nell’attacco con armi chimiche. Ad allentare la rigidità di Washington contribuisce il nuovo clima, almeno in apparenza, nelle relazioni tra gli Usa e l’Iran alleato di Assad. I media di tutto il mondo sottolineano la giornata storica di due giorni fa al Palazzo di Vetro. Se da un lato non c’è stata la stretta di mano tra Barack Obama e il presidente iraniano Hassan Rowhani, dall’altro lato l’incontro tra il Segretario di Stato John Kerry e la controparte iraniana, il ministro degli esteri Mohammad Jayad Zarif, è stato il primo faccia a faccia vero tra i due Paesi in 30 anni di relazioni ostili, minacce di guerra e sanzioni economiche contro Tehran che hanno provocato un crollo delle esportazioni iraniane di petrolio verso l’Europa e i Paesi asiatici (-60%): 150 milioni di dollari al giorno. Alla fine del meeting Kerry ha detto che le sanzioni non saranno sospese fino a quando l’Iran non permetterà agli ispettori Onu di verificare lo stato del suo programma nucleare. Tuttavia, secondo un diplomatico statunitense, l’Iran ha proposto la firma di un accordo entro tre mesi e la sua attuazione definitiva entro un anno. Il ministro degli esteri dell’Unione europea Catherine Ashton ha indicato che un prossimo incontro si potrebbe tenere già a Ginevra tra il 15 e il 16 ottobre prossimi. Rawhani da parte sua rilancia e vuole mettere sul tavolo la questione del nucleare in tutta la regione e ripete che anche Israele (che possiede in segreto decine di bombe atomiche) deve aderire senza indugio al Trattato di Non Proliferazione per arrivare a un Medio Oriente demilitarizzato.

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ATTENTATO A DAMASCO, 30 MORTI

In Siria nel frattempo non si allenta la tensione nemmeno di fronte alla possibile svolta in corso alle Nazioni unite. La guerra, quella detta «civile», continua, si continua a combattere, il bagno di sangue, alimentato anche dai cosiddetti «Amici della Siria» (Qatar, Turchia e Arabia saudita) non conosce soste e con essa gli attentati. Ieri sera era salito ad almeno 30 morti e decine di feriti il bilancio di un’autobomba a Rankus, nella provincia di Damasco in un’area a maggioranza sunnita. Secondo l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria «la maggioranza delle vittime sono civili, tra cui un bambino». L’esplosione è avvenuta davanti alla moschea Khaled Ibn al Walid mentre i fedeli uscivano dalla preghiera del venerdì.


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