by Sergio Segio | 26 Settembre 2013 6:18
ROMA — L’accordo sulla legge che riduce all’osso il finanziamento pubblico dei partiti potrebbe essere dietro l’angolo. Il tetto ai finanziamenti dei privati imposto senza se e senza ma dal Pd (100 mila euro all’anno per donatore) sale d’incanto a 350-500 mila euro per addolcire l’intransigenza del Pdl che, invece, non vuole limiti alla generosità dei privati definiti anche «garanti della democrazia» (emendamento Abrignani). Niente da fare, però, per l’emendamento pidiellino che mira a depenalizzare il finanziamento illecito nella parte in cui oggi è previsto dal codice penale l’obbligo di una delibera del consiglio di amministrazione se la società intende finanziare un partito. Su questo punto, il presidente della prima commissione Francesco Paolo Sisto (Pdl) aveva immaginato un punto di mediazione, proponendo la depenalizzazione per le donazioni sotto i 100 mila euro. Ma Andrea Giorgis (Pd) è stato categorico nella sua risposta: «Il Pd non voterà mai un emendamento che incide sulla depenalizzazione».
Dunque, nonostante le acque agitatissime in cui naviga in queste ore il governo delle larghe intese, sulle nuove regole per finanziare i partiti Pd e Pdl continuano a cercare l’accordo. E oggi, in aula alla Camera, potrebbe arrivare il via libera agli emendamenti più a rischio per poi passare al voto finale (prima lettura) entro martedì. Il lavoro di ricucitura lo stanno facendo i due instancabili relatori: Emanuele Fiano del Pd e Mariastella Gelmini del Pdl.
Ieri pomeriggio quindi il ddl Letta-Quagliariello-Saccomanni sulla modifica del finanziamento ai partiti è arrivato in aula. Partenza soft, in mancanza di un accordo formalizzato, ma muro compatto della maggioranza che ha bocciato (335 sì, 116 no, 5 astenuti) l’emendamento dei grillini teso all’abolizione totale del finanziamento ai partiti. Il M5S non ha gradito: «L’ipocrisia va in scena… Aboliamo i finanziamenti e tutti facciamo politica senza soldi come abbiamo fatto noi», ha detto la deputata Giulia Grillo.
Invece, in apertura di seduta, il dibattito aveva preso toni anche alti con gli interventi di Ignazio Abrignani (Pdl) e di Gianclaudio Bressa (Pd). In particolare, il deputato democratico ha voluto ricordare che «tutto nasce e tutto deve tornare all’articolo 49 della Costituzione, quello che prevede che tutti i cittadini hanno il diritto di associarsi nei partiti». E questo vuol dire, ha insistito Bressa, «garantire ai cittadini la libertà di scelta» di finanziare i partiti «senza però correre il rischio che qualche oligarca possa accaparrarsi con il proprio denaro» lo stesso partito. Insomma, nel Pd si pensa ai milioni sborsati da Silvio Berlusconi per Forza italia e il Pdl, ma dal centrodestra ribatte Francesco Paolo Sisto: «Se vogliono rendere difficile le donazioni dei privati facciano pure: a rimetterci sarà anche il Pd».
Il testo del ddl (che i grillini danno per morto al Senato in forza di un patto segreto già stipulato tra Pd e Pdl) prevede a regime (2016) diversi canali di approvvigionamento per i partiti: quello indiretto stabilisce che per ogni euro ricevuto dai privati lo Stato contribuisce con un gettone di 50 centesimi. Inoltre, c’è il meccanismo del 2 per mille (simile a quello del 5 per mille destinato alle Onlus) per il quale però non è ancora stato sciolto il nodo della privacy: è possibile infatti che nel modello unico e nella banca dati dell’agenzia delle entrate resti in bella vista l’accoppiamento tra dato anagrafico e partito finanziato dal contribuente.
Pino Pisicchio, deputato del Centro democratico, apre però un altro scenario: «I padri costituenti Mortati e Moro volevano scolpire nella Costituzione il metodo democratico anche all’interno dei partiti. Ora si deve tornare a costruire una forma di partito capace di creare una nuova classe dirigente. La politica non può essere una professione ma neanche l’arena di dilettanti allo sbaraglio….».
Dino Martirano
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