Siria, Assad avverte l’Occidente “Rappresaglie se ci attaccano”

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ANTAKYA — Il presidente siriano Bashar al Assad fa la voce grossa, e minaccia ritorsioni in caso di attacco franco-americano. Lo fa nascondendosi dietro la potenza di fuoco dei suoi più stretti alleati: le milizie libanesi di Hezbollah e l’esercito di Teheran, uniti dalla comune fede sciita e pronti a lanciare rappresaglie contro bersagli occidentali se Barack Obama e François Hollande dovessero bombardare le basi militari del regime di Damasco. Il suo avvertimento Assad lo ha diffuso in un’intervista al network Cbs, la prima concessa a un organo di informazione americano. Ora, oltre alle sedi diplomatiche di Parigi e Washington e ai loro interessi economici in Medio Oriente, il primo obiettivo di queste eventuali rappresaglie è ovviamente Israele che, nelle ultime ore, ha perciò ulteriormente rafforzato le sue difese aeree, schierando a Gerusalemme una nuova batteria del sofisticato sistema antimissile “Iron-Dome” per difendersi dai razzi di Hezbollah.
Alla Cbs Assad ha anche dichiarato che un bombardamento potrebbe sì diminuire le capacità delle sue truppe, ma che così facendo concederebbe un vantaggio alle frange qaediste dell’opposizione. Due giorni fa, tuttavia, gli stessi leader delle frange più jihadiste della rivolta si sono anch’essi schierati contro i raid americani, consapevoli che questi aiuterebbero piuttosto l’Esercito libero siriano, con cui sono in rotta da qualche mese.
Il presidente Assad ha poi ribadito di non essere dietro il massacro con le armi chimiche del 21 agosto, sostenendo che non ci sono prove inconfutabili sulla sua colpevolezza. «Con quell’attacco non ho nulla a che fare», ha ripetuto il leader siriano. Se dice il vero, potrebbe avere senso quanto scriveva ieri la Bild, e cioè che l’esercito di Damasco avrebbe usato i gas senza il via libera del presidente. Il quotidiano tedesco cita rapporti dell’intelligence di Berlino: secondo messaggi radio intercettati dalla nave di ricognizione tedesca “Oker”, a largo della Siria, comandanti di brigata dell’esercito siriano chiedevano da quattro mesi e mezzo di poter usare armi chimiche, ma l’autorizzazione era sempre stata negata.
Ieri mattina, intanto, dopo giorni di combattimenti, l’antico villaggio di Maaloula, 55 chilometri a nord di Damasco, simbolo della cristianità in Siria dove in molti parlano ancora l’aramaico, la lingua di Gesù Cristo, è caduta nelle mani dei ribelli islamisti. Nella notte, le truppe lealiste hanno lasciato la zona e gli insorti sono penetrati in città prendendo il controllo dell’area. Negli scontri tra i militari del regime e i ribelli sono morti 17 ribelli e decine di soldati.
La paura è nata con la notizia che Maaloula fosse caduta nelle mani dei combattenti del Fronte al Nusra, appartenenti alla frangia più radicale della jihad. Secondo Malek Kourdi, colonnello dell’Esercito libero siriano: «Per le forze sul terreno, Maaloula è solo una posizione strategica che andava conquistata». Ma anche l’Osservatorio per i diritti umani conferma la presenza dei qaedisti. «Sfoggiando barbe e cantando Allahu Akbar — ha detto un testimone — hanno attaccato chiese e case cristiane non appena occupato il villaggio. Hanno sparato e ucciso. Ora Maaloula è una città fantasma »


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