Siamo Pinocchi connessi e infelici in un moderno mondo dei balocchi

by Sergio Segio | 28 Settembre 2013 7:57

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L’irrompere nelle nostre vite della grande rete mediatica — cioè questo universo in cui le parole e le immagini scorrono ininterrottamente senza conoscere limiti né frontiere e nella quale gli esseri umani sono avvolti fin dai primi istanti della vita — ha creato un mutamento antropologico e culturale di cui è difficile scorgere l’evoluzione.
Personalmente, io twitto solo con i miei canarini, ma so di essere un relitto ancestrale. Se cinguetto solo con loro è perché sono un’artista e desidero mantenere intatte, nella mia vita, le dimensioni della profondità e dell’essenzialità. Perché è evidente che tutto questo comunicare, alla fine, non è altro che un mare di chiacchiere, una lastra di ghiaccio sottile posta a tutela delle acque torbidamente profonde che comunque esistono in ogni vita.
Chiacchiero, chiacchiero, chiacchiero. E chiacchierando, mi distraggo. Distrazione! grande amica dei manipolatori del pensiero. Un mondo di uomini distratti è un mondo di inconsapevoli servitori, un mondo di pattinatori che scivolano sulla superficie del ghiaccio senza mai avere il coraggio di abbassare lo sguardo verso ciò che, sotto il ghiaccio, si cela.
La notte, il buio e il silenzio sono stati banditi dalla nostra vita. Dobbiamo essere sempre collegati, attivi, svegli, eternamente storditi dal rumore, dalla musica, dalle luci, dai led luminosi, sempre pronti a comprare qualcosa.
Comunicare ed essere eternamente connessi è il diktat dell’uomo contemporaneo, ma questa comunicazione non è più legata alla fisicità della persona. Incontrarsi, stare vicini, guardarsi negli occhi non ha più nessuna importanza, così come non ha nessuna rilevanza che le parole che si usano abbiano una necessità e un fondamento. L’importante è non lasciare spazi vuoti. Il corpo è stato smaterializzato, così come le relazioni, che sono diventate astratte, virtuali. Alla faticosa costruzione di un rapporto reale si è sostituita la fulminea semplicità di un «mi piace» su Facebook, regalando l’illusione che il mondo sia pieno di amici e di persone in grado di condividere i nostri stati d’animo.
La grande forza che ha plasmato questi anni — e che sembra investire sempre con più vigore la società — è quella dell’omogeneizzazione. Da piccola, io avevo soltanto i miei pensieri in testa, ma adesso un bambino, fin dai primi anni, viene martellato da una quantità impressionante di stimoli, uguali per lui e per tutti gli altri, che come una corrente obbligata lo spingeranno verso un’unica direzione — quella dell’omologazione. Omologazione vuol dire che i nostri pensieri — o meglio, ciò che crediamo essere i nostri pensieri — in realtà sono stati pensati da altri per noi. (…)
In tutti noi, nelle zone morte della notte, nelle improvvise solitudini del giorno, si affaccia il pensiero della morte e di tutte le possibili vie da percorrere per riuscire a opporvisi, o per lo meno, a darle un senso.
Il nostro tempo è un tempo che ha rimosso l’immagine della nostra caducità, con tutto il corteo di domande che trascina con sé.
Spesso delle persone mi dicono che nei miei libri ci sono troppe domande. Sono faticose, queste domande. Ormai anche dai libri ci si attende unicamente lo svago — peraltro, più che lecito — un momento di relax, il non essere turbati da alcun pensiero profondo. Preferiamo passeggiare sulla battigia, osservare lo splendore del tramonto, ma non attendere la notte, non attendere che i flutti minacciosi delle onde si abbattano sulle nostre gambe, rischiando di trasportarci nel gorgo nero del mare notturno.
Ma l’uomo, senza ombra, che cos’è? È un essere che ha dimenticato la necessità costruttiva del dubbio e dell’inquietudine, della perplessità e dell’interrogazione. È Pinocchio la grande profetica metafora di questi nostri tempi trasformati in un ininterrotto Paese dei Balocchi, sul quale lampeggia luminosa e invitante la scritta «Divertitevi!»
Ma, dopo la prima ebbrezza liberatoria, anche il divertimento viene a noia e, per non rischiare di interrompere questo ciclo, ci si inventa forme di distrazioni sempre più estreme. Quando poi, alla fine, anche queste sembrano finite, si apre la landa desolata dell’infelicità e della depressione, delle patologia da distrazione — come la ludopatia — che tanto inflazionano i nostri giorni.
Già, perché la ricerca della felicità, nel suo giro rutilante e vorticoso, produce esattamente il suo opposto: l’infelicità. Oltre ai paesaggi meravigliosi, oltre alle musiche, alle luci, ai colori, c’è solo l’immensa plaga deserta della noia sterile, dell’aggirarsi senza scopo e senza orizzonti.
Aver ridotto la vita dell’essere umano all’esaltazione del proprio ego e all’obbedienza cieca dei suoi voleri lo ha condotto in un vicolo cieco. Eppure, bastava anche solo aver leggiucchiato un qualsiasi libro di spiritualità — induista, buddista, cristiana, islamica — per sapere che l’ego è la grande scimmia che ci domina e che chiunque aspiri ad assaporare la vera libertà nella sua vita, per prima cosa deve intraprendere un cammino di liberazione dalle sue tiranniche esigenze. Invece di disarcionarla, questa scimmia, l’abbiamo invitata a vivere stabilmente sopra di noi, l’abbiamo nutrita e lusingata, ci siamo prostrati ai suoi piedi, dichiarandoci al suo totale servizio. Ci siamo consegnati, mani e piedi, al padrone più bizzarramente esigente, al più folle, più privo di progetti. Il nostro ego, appunto. Perché i suoi progetti sono sempre di breve durata, tesi ad un unico fine: quello di soddisfare il più alto numero di pulsioni e desideri.
L’ego desidera principalmente tre cose. Dominare gli altri, possedere più degli altri e poter vivere senza limiti tutte le possibili suggestioni erotiche. Con questo imprinting martellante, costantemente rafforzato dal bombardamento dei media, come si può pensare di poter costruire una società fondata su valori che la rendano degna di essere umana, cioè in sintonia con quello che faticosamente è stato costruito negli ultimi millenni della nostra storia?
L’uomo contemporaneo è spinto a vivere compresso tra due entità del suo corpo — quella del cervello e quella degli organi genitali. La parte centrale, quella del cuore, è stata divorata dalla marea nera del chiacchiericcio mediatico. La sua intelligenza calda, saggia e pensante è stata sostituita dall’onnipresente strepito dei sentimentalismi, vale a dire dei sentimenti gridati, esibiti, condivisi in fiammate di indignazioni e di condanne che invadono ogni spazio visivo e auditivo delle nostre giornate.
Il sentimentalismo è un ismo, dunque una manipolazione ideologica che ci permette di sentirci buoni senza aver la minima idea di cosa sia il bene, di sentirci nel giusto senza aver provato neppure per un istante ad essere delle persone giuste. Sono solo abiti che indossiamo, abiti che togliamo, senza minimamente modificare la nostra natura profonda.

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