by Sergio Segio | 16 Settembre 2013 5:04
NEW YORK – Tutti a dare una mano a Barack Obama. In apparenza, però, solo in apparenza. Dopo Vladimir Putin sulla Siria, ieri Larry Summers. L’ex segretario al Tesoro di Bill Clinton ha telefonato al presidente per dirgli che ritira la sua candidatura alla guida della Federal Reserve, la banca centrale americana. In questo modo, toglie dai pasticci Obama, che lo voleva nominare ma che aveva contro gran parte del proprio partito e dei senatori democratici che avrebbero dovuto ratificare la scelta. Ciò nonostante, per la Casa Bianca questa è una mezza ritirata: il candidato preferito da Obama è di fatto stato impallinato prima di prendere il volo. Ora, la strada potrebbe essere in discesa per la candidata che contendeva il posto assieme a Summers, Janet Yellen, attuale vicepresidente della Fed.
Mai la scelta del presidente della Fed era stata così politicizzata, quasi una campagna elettorale, come quella per la persona che dovrà sostituire Ben Bernanke. Dipende dall’importanza quasi mitologica assunta dai banchieri centrali in questi anni della Grande Crisi e, forse soprattutto, dalla personalità immensa di Summers. La scelta è di enorme rilievo: da cinque anni a questa parte, le banche centrali sono la prima linea di ogni politica finanziaria ed economica. E, Fed in testa, hanno sviluppato politiche monetarie nuove, non convenzionali e controverse: il sostituto di Bernanke sarà decisivo per confermarle o per tornare al passato, qualcosa di grande rilievo non solo per gli Stati Uniti. I prossimi giorni saranno dunque importanti, in attesa di vedere se la Casa Bianca a questo punto avanzerà il nome della signora Yellen.
Fino a questo fine settimana, tutto sembrava un gioco a due: Summers, ex segretario al Tesoro, quoziente d’intelligenza altissimo, famiglia di premi Nobel, ex presidente dell’Università di Harvard, già consigliere di Obama; e Janet Yellen, stimatissima insider della Fed, considerata una «colomba», cioè una delle sostenitrici della politica di tassi d’interesse a zero e di immissione di grandi dosi di liquidità nel sistema per stimolare l’economia. La preferenza di Obama per Summers era palese. Il guaio è che a molti democratici l’ex capo del Tesoro non piace. Anzi, alcuni senatori della commissione che dovrà confermare o respingere il candidato prima che l’aula del Senato voti hanno detto che non lo avrebbero proprio sostenuto. Alcuni lo ritengono una figura divisiva, arrogante e l’ala più di sinistra del partito lo accusa di essere stato uno dei promotori della deregulation della finanza che a loro parere avrebbe poi provocato la Grande Crisi.
Nella commissione del Senato i democratici contano su una maggioranza di 12 a dieci, ma quattro loro senatori hanno già fatto sapere che non avrebbero votato Summers. Summers ha preso atto: «Ho con riluttanza concluso — ha scritto a Obama — che ogni possibile processo di conferma sarebbe stato condotto con acrimonia e non avrebbe servito gli interessi della Federal Reserve, dell’Amministrazione e in fondo della ripesa in corso della Nazione».
Il mandato di Bernanke scade il 31 dicembre. Domani e dopodomani, la Fed terrà una riunione estremamente importante: potrebbe decidere di dare inizio al cosiddetto tempering , la moderazione progressiva dell’acquisto di titoli sui mercati (la via per immettervi liquidità). Operazione delicata: il solo parlarne, prima dell’estate, ha provocato scosse sui mercati mondiali. In questo passaggio, uno scontro pubblico sulla Fed avrebbe rischiato di essere devastante.
Il ritiro di Summers, però, non sarà senza conseguenze. Entro fine mese, il Congresso deve votare il bilancio 2014 e entro metà ottobre deve autorizzare l’innalzamento del tetto del debito pubblico, per consentire al governo di spendere e di funzionare. L’opposizione repubblicana è agguerrita e non si può escludere che si ripeta la commedia del 2011, quando gli Stati Uniti sfiorarono il default per mancanza di accordo politico. Ieri, in un’intervista alla televisione Abc , il presidente ha ammesso che il rischio c’è ma — ha detto — «non voglio negoziare e non negozierò il tetto del debito». Sarà un braccio di ferro. Avere perso il suo candidato non rafforzerà però l’autorevolezza di Obama. E nemmeno il suo braccio.
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