Se la Russia ridiventa strategica

by Sergio Segio | 6 Settembre 2013 5:58

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Oggi alcuni degli strateghi di Vladimir Putin sono convinti che sia venuto il momento di raddrizzare quella situazione, visto che gli Stati Uniti «continuano a commettere un errore dietro l’altro», come ha spiegato lo stesso presidente russo alla vigilia del G20 di San Pietroburgo. Le difficoltà occidentali sono evidenti e si sommano anche a una crisi economica che ha provocato una sensibile riduzione dei budget militari. Inoltre, spiega Dmitrij Trenin, direttore del centro studi Carnegie di Mosca, «è innegabile che i leader contemporanei europei e americani siano in buona parte più che mediocri». Specie se paragonati a un Putin che ha certamente saputo sempre giocare bene le sue carte.
La Russia è convinta che, al di là della questione armi chimiche, gli Stati Uniti stiano sbagliando completamente strategia, rimuovendo i vari dittatori che fino a ieri assicuravano una certa stabilità nella regione. Gli insorti siriani sono sempre più infiltrati dagli estremisti musulmani, dice Putin dando del bugiardo al segretario di Stato John Kerry. Yurij Sheglovin, un esperto dell’istituto del Medio Oriente, va oltre: «La democrazia nelle odierne realtà del mondo islamico apre la strada verso il potere a degli Hitler musulmani». Allora tanto meglio tenersi i vari Saddam, Gheddafi e Assad. Ma a questo punto che bisogna fare? La Russia continua a essere al fianco del potere esistente, ma senza esagerare. Ad esempio, non ha consegnato al governo siriano tutti i componenti delle batterie di missili S-300 che sarebbero micidiali contro eventuali attacchi americani o israeliani. Per Mosca, l’ideale è mantenere un certo equilibrio delle forze in campo: «Una posizione assolutamente corretta è quella di non consentire a nessuno di vincere», dice ancora Sheglovin. E non vincendo, le parti si indeboliscono, vedendo diminuire anche la loro capacità di influire su altre aree del mondo. Già, perché questo è uno dei grossi problemi che la Russia ha e che l’Occidente non sembra voler tenere in conto: una vasta area musulmana all’interno del suo territorio. La vittoria di estremisti islamici in Siria sarebbe un pessimo segnale per il Daghestan e per la Cecenia appena «pacificata».
Infine c’è l’avversione di fondo di Mosca, come di Pechino, a qualsiasi intervento per imporre la democrazia all’interno di altri Paesi. Entrambi pensano che un’America particolarmente forte non ci penserebbe due volte a mettere nel mirino anche Mosca o Pechino.
Fabrizio Dragosei

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