Rappresentanza, il governo punta al documento comune
Lo ha confermato ieri il sottosegretario al Lavoro, Carlo Dell’Aringa: «Stiamo pensando a un intervento in materia». D’altra parte Fiat lunedì scorso ha parlato chiaro: la legge è una condizione per continuare a investire in Italia.
Ma sono proprio i sindacati che hanno firmato accordi con Fiat – quindi Cisl e Uil – a mettersi di traverso. Dà loro manforte il presidente della commissione Lavoro del Senato, Maurizio Sacconi, Pdl: «Se decidessimo oggi di disciplinare con una legge la rappresentatività delle organizzazioni e la connessa validità degli accordi, ci allontaneremmo ancor più da una moderna democrazia liberale». E anche la Cgil non ne vuole sapere. Il paradosso non finisce qui. Perché — seppure con obiettivi diversi — solo la Fiom è d’accordo con Fiat rispetto alla necessità di una legge.
I punti chiave per comprendere la vicenda sono due. Il primo: in realtà un’intesa sui meccanismi di rappresentanza esiste già. Non si tratta di una legge ma di un accordo. Lo hanno firmato nel maggio scorso Cgil, Cisl e Uil e Confindustria. Il secondo: ci sono due articoli della nostra Costituzione a cui non è mai stata data attuazione. Il numero 39 che parla di sindacati rappresentativi in proporzione degli iscritti. E il 40 sul diritto di sciopero. «Una legge sulla rappresentanza senza intervenire anche sullo sciopero e sulla sua titolarità servirebbe a poco – osserva Maurizio Del Conte, giuslavorista dell’università Bocconi di Milano –. Una eventuale legge non impedirebbe ai lavoratori fuori dalle grandi organizzazioni sindacali di contestare gli accordi con scioperi. Se non si interviene anche sull’articolo 40, la legge non serve. Basta un’intesa proprio come quella già firmata».
D’altra parte lo stesso Dell’Aringa ieri ha detto che si tratterebbe di una normativa «light»: ci si potrebbe limitare alla trasformazione in legge di una parte dell’intesa di maggio. Ma anche questo sarebbe un boccone indigesto per il sindacato.
Rita Querzé
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