“Sostegno per l’inclusione attiva”: la via italiana al reddito minimo
ROMA – Dopo anni di sperimentazioni, anche per l’Italia sembra che i tempi per una misura nazionale di contrasto alla povertà siano maturi. La via italiana del reddito minimo è stata presentata questa mattina a Roma dal ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Enrico Giovannini e dal viceministro Maria Cecilia Guerra ed è il risultato del lavoro di un team di accademici ed economisti che, partendo da un’idea lanciata a fine luglio da Caritas e Acli, hanno provato a sviluppare quello che si chiamerà Sostegno per l’inclusione attiva (Sia). Una proposta che a pieno regime richiederà l’impiego di risorse per circa 7-8 miliardi, ma che conta di raggiungere non meno di circa il 6 per cento delle famiglie del Paese.
Anche se le parole “reddito minimo” non compaiono nel nome della proposta, la misura nasce con l’aspirazione di diventare al più presto lo strumento universale di contrasto alla povertà nel nostro Paese. Sarà un sostegno rivolto ai poveri, spiega il ministero, identificati come tali da una prova dei mezzi, permetterà a tutti l’acquisto di un paniere di beni e servizi ritenuto decoroso sulla base degli stili di vita prevalenti e soprattutto non sarà incondizionato, ma occorrerà perseguire obiettivi di inclusione sociale e lavorativa. Una misura che, se dovesse diventare realtà, riguarderà tutti i residenti, “inclusi gli immigrati legalmente residenti o perlomeno quelli stabilmente residenti secondo le direttive comunitarie”.
Ancora presto per definire tutti i dettagli, ma sull’ammontare dell’erogazione verso i beneficiari, il documento presentato questa mattina parla di una cifra “idealmente pari alla differenza tra la misura delle loro risorse economiche e il livello di riferimento, stabilito per legge per identificare la condizione di povertà”. Sul beneficio peserà anche la composizione del nucleo familiare, le differenze territoriali del costo della vita e della disponibilità di servizi collettivi e il nuovo Isee. Beneficio che durerà fin quando necessario, spiega il documento, ma ai beneficiari verrà chiesto un impegno serio per la fuoriuscita dallo stato di indigenza.
Sulla proposta, non mancano i dubbi delle Regioni a partire dalla cifra immaginata come necessaria per portare avanti il progetto. “Penso sia necessario immaginare una gradualità nell’applicazione del progetto – ha commentato Lorena Rambaudi, assessore alle Politiche sociali della Liguria e coordinatore nazionale degli assessorati al Welfare -. Avere oggi 7 miliardi penso che non sia molto realistico”. Un piano ambizioso, quello proposto oggi, che ha ancora tanta strada da fare prima di diventare realtà e che “non si fa da mattina a sera – ha avvertito Giovannini -. E’ una proposta universalistica non immediatamente operativa. La poniamo all’attenzione del Parlamento e del dibattito pubblico. Valuteremo se e come riusciremo a inserirla nella legge di stabilità”.(ga)
© Copyright Redattore Sociale
Related Articles
SE ANCHE IL CARCERE DIVIDE I RICCHI DAI POVERI
Forse a Giulia Ligresti non occorreva neppure l’interessamento della ministra della Giustizia Cancellieri perché il tribunale valutasse il suo stato di salute come troppo rischioso per la sua incolumità psico-fisica e quindi ne decidesse la scarcerazione. Bastava la sua condizione di persona ricca e privilegiata, non abituata quindi ai disagi.
Unicef: «Cinque bambini yemeniti morti o feriti ogni giorno»
Golfo. Nuovo rapporto dell’Unicef: oltre 5.500 i minori uccisi o feriti dal marzo 2015. Nuove stragi saudite mentre ad Hodeidah gli Houthi accettano l’ingresso dell’Onu. Ma Riyadh e Abu Dhabi frenano
TSO Manconi: ormai sembra un mandato di cattura
Gli psichiatri: ma è meglio della sedazione coi farmaci