by Sergio Segio | 23 Settembre 2013 6:03
ROMA — La maggioranza delle larghe intese si spacca sul giudizio da dare alle parole del ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, riportate nel colloquio con il direttore del Corriere, in cui ha ventilato le proprie dimissioni a causa delle pressioni subite dai partiti sulla gestione dei conti pubblici. Il Pdl lo critica perché pretende di diventare da ministro tecnico presidente del Consiglio, arrivando anche a chiederne le dimissioni. Il Pd lo difende sottolineando che ha posto un problema reale e che le sue preoccupazioni sono motivate dalla demagogia del centrodestra. I centristi scelgono una posizione mediana, ricordando che lo stesso Saccomanni è stato, ed è, oggetto di pressioni molto forti da parte di entrambi i partner della coalizione. Qualora si facesse da parte, avverte Linda Lanzillotta di Scelta civica, «il governo non esisterebbe più».
Insomma, l’allarme lanciato dal ministro sul Corriere suscita reazioni contrastanti, aprendo il primo vero caso politico nella maggioranza, già percorsa da fibrillazioni. Ma nonostante questo, Saccomanni non arretra di un millimetro. Anzi. «Gli italiani — afferma a margine di un raduno di ex finanzieri — credo meritino di sapere esattamente come stanno le cose e non soltanto slogan di carattere propagandistico», sollecitando al riguardo « un dibattito sereno e pacato sui conti dello Stato».
Guglielmo Epifani, segretario del Pd, gli esprime la solidarietà del partito: «Ha la nostra fiducia. L’unica cosa che gli chiedo di non fare è Robin Hood al contrario: di togliere ai più poveri per dare ai più ricchi» perché «in una crisi le scelte di rigore hanno bisogno di grande equità e grande giustizia sociale». Anche Dario Franceschini (Pd) gli dà ragione: «Saccomanni pone problemi reali di credibilità e di rispetto degli impegni presi in sede europea, che supereremo semplicemente seguendo le linee della nota di aggiornamento al Def (documento economico e finanziario) che lui ci ha proposto venerdì e che abbiamo unanimemente approvato in Consiglio dei ministri». Per Franceschini, quindi, «è prioritaria la scelta di rientrare sotto il 3%». Aggiunge il viceministro per l’Economia, Stefano Fassina (Pd): «Saccomanni, come altri di noi, è molto preoccupato rispetto alla situazione della finanza pubblica italiana e alla demagogia che segna una parte della maggioranza». Sintetizza Matteo Colaninno, responsabile economico: «Saccomanni è una garanzia per l’Italia».
Sull’altro lato del campo politico, nel Pdl-Forza Italia, però, le posizioni sono articolate. C’è Fabrizio Cicchitto che fa notare come con le sue parole il ministro abbia creato «un bel problema se pretende di diventare da ministro tecnico dell’Economia presidente del Consiglio, surrogando Enrico Letta, mettendo in mora Alfano e poi dichiarando una sorta di sciopero politico: “Io non mi metto alla disperata ricerca di un miliardo se poi a febbraio si va a votare”». Mariastella Gelmini ricorda come «sia anche obiettivo del Pdl rimanere entro il 3%» ma, avverte, «ciò che non è condivisibile è che si ricorra a ricette vecchie, come quelle applicate dal governo Monti che peggiorarono la situazione, aumentando le tasse e diminuendo i consumi. Bisogna, invece, aprire una discussione pacata per trovare assieme soluzioni alternative». Altero Matteoli propone: «Il premier Letta prenda con energia il timone della politica economica». Di tutt’altro avviso Daniela Santanché. Basta ricatti, è la sua intimazione: «Saccomanni vuole dimettersi? Lo faccia immediatamente, nella certezza che Forza Italia non cambia e non cambierà idea. Noi non parteciperemo più a una coalizione il cui governo vuole aumentare le tasse agli italiani».
Lorenzo Fuccaro
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