Operazione pulizia per le banche europee a rischio azionisti e sottoscrittori dei bond

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ROMA — L’accordo doveva arrivare a luglio, ma è slittato in silenzio mentre l’Europa andava in vacanza. Ora sarebbe atteso in settembre, eppure è possibile che le grandi banche centrali dell’area euro rinviino ancora. C’è da capirle. Non è facile trovare equilibrio su una scelta che può cambiare tutto: non solo la fiducia di poter riavere indietro i propri soldi per chi ha investito nelle banche, comprandone azioni o obbligazioni, ma a cascata anche la capacità di finanziarsi degli istituti e dunque la disponibilità di dare credito a imprese e famiglie in paesi in affanno come l’Italia o la Spagna.
In quattro anni di crisi, l’Europa è dovuta tornare sui suoi passi troppo spesso per garantire che per stavolta non ci saranno errori a caro prezzo. Secondo alcuni, il rischio c’è. Le idee delle diverse banche centrali, in primis Bundesbank da un lato e Banca d’Italia e Banque de France dall’altro, restano infatti lontane sulla scelta oggi più delicata per l’area euro: il passaggio all’“unione bancaria”, cioè il trasferimento dei poteri di vigilanza sui grandi istituti dalle autorità nazionali alla Banca centrale europea. Circa 130 banche dell’area euro saranno soggette ai controlli dell’Eurotower, incluse
le prime 13 italiane per dimensione: si va da Unicredit e Intesa Sanpaolo, fino a Carige, Bpm, Bper o Credito Valtellinese; in tutto i due terzi dei prestiti fatti in Italia anche da istituti, in alcuni casi, certo non privi di problemi.
La Bce, sostenuta dalla Germania, accetta questa i compiti di controllo ma non intende ricevere in eredità occulta i guasti accumulati dalle banche fin lì. L’istituto guidato da Mario Draghi esige che prima vengano alla luce tutti i guai più o meno nascosti nei bilanci: sofferenze, perdite su crediti, prestiti estesi solo in base ai rapporti personali o politici dei manager, rischi per aver concentrato troppi investimenti in titoli di Stato del proprio paese.
Per questo già dai prossimi mesi l’unione bancaria sarà preceduta da una colossale operazione di setaccio: circa 500 addetti alla vigilanza, divisi in squadre multinazionali, caleranno sulle 130 mediograndi banche dell’area euro e esamineranno posizione per posizione, prestito per prestito. Che penetrino fino al cuore della sovranità finanziaria di un paese esperti stipendiati da un altro Stato, è un fatto senza precedenti. Ma il punto su cui si sta consumando una sorda battaglia fra capitali, tutta giocata mantenendo il silenzio in pubblico, è nel passaggio successivo: come rafforzare il capitale delle banche di cui emergeranno problemi, prima di affidarle alla guardia della Bce.
È qui che sta prevalendo una proposta della Bundesbank e dal governo di Berlino che preoccupa, e molto, le autorità e le banche private in Italia o in Francia. La Germania chiede che se una banca registra perdite che erodono il suo capitale e non riesce a ricapitalizzarsi sui mercati, debba essere chi vi ha investito a pagare. In questo modo migliorerebbe il rapporto fra capitale e debiti. Solo dopo che certe categorie di obbligazionisti
avranno perso parte dei loro soldi, riducendo il debito della banca, potranno intervenire anche gli aiuti pubblici del paese dove si trova quell’istituto.
In questo la Bundesbank e Berlino vengono sostenuti dalla Commissione europea e sono sul punto di prevalere. I creditori che pagherebbero sono
(in genere) i cosiddetti “subordinati”, cioè i primi a dover perdere soldi nell’ipotesi di default della banca. In questo caso però non sono in gioco istituti in via di liquidazione, bensì aziende che continueranno a funzionare normalmente. La conseguenza è prevedibile: non appena gli investitori capiranno il rischio, diventeranno riluttanti a prestare alle banche nel timore che siano soggette alle nuove regole che li coinvolgono. Nell’incertezza su chi potrebbe essere colpito, da subito tutte le banche dovranno dunque offrire interessi più alti per poter trovare finanziatori presso il pubblico. A cascata i maggiori costi verranno trasferiti sui prestiti da parte degli istituti a imprese e famiglie: una nuova stretta al credito nei paesi già in recessione.
Il negoziato in Europa è aperto. Ed è forse il più delicato di cui non sia (ancora) stata detta parola ai cittadini.


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