Obama prende tempo e si rimette alla Russia

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NEW YORK – Pronunciato un discorso a due facce alla nazione — l’invocazione dell’uso della forza in Siria almeno come minaccia per spingere i negoziati, ma anche la richiesta al Congresso di prendere tempo prima di votare per l’attacco in modo da lasciare spazio per gli sforzi diplomatici – Barack Obama da oggi si affida – quanto volentieri non è dato sapere – al lavoro del suo segretario di Stato, John Kerry, che inizia in giornata i suoi colloqui a Ginevra col ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov.
Sapremo presto se esistono davvero gli spazi per un accordo che consenta lo smantellamento completo e verificabile dell’arsenale chimico di Damasco? Improbabile, non solo per la complessità della materia ma anche perché, in un certo senso, tanto Putin quanto Obama hanno interesse a lasciare trascorrere un certo lasso di tempo. Nel caso della Russia è abbastanza ovvio: senza la minaccia dei bombardamenti americani, il regime di Assad ha più tempo per condurre le sue controffensive contro i ribelli, colpiti duramente anche in questi giorni.
Ma anche Obama — messo alle strette dalla crescente ostilità dell’opinione pubblica per un attacco pur limitato in Siria e dalla determinazione di un gran numero di deputati pronti a esprimere un voto contrario al blitz con missili e bombardieri — a questo punto preferisce prendere tempo. Nel discorso agli americani pronunciato l’altra sera a reti unificate dalla East Room della Casa Bianca, Barack Obama ha cercato di nuovo di spiegare in modo chiaro e convincente perché i cittadini, traumatizzati dal clima di guerra permanente nel quale il Paese vive ormai dall’11 Settembre di 12 anni fa, non devono temere che l’eventuale attacco in Siria divenga un altro Iraq: «Niente impegno di truppe come a Bagdad, niente campagne lunghe come in Kosovo, nemmeno bombardamenti massicci come in Libia. Nessun obiettivo di abbattere il regime di Assad perché in Iraq abbiamo imparato che, se elimini un dittatore, poi diventi responsabile di quello che avviene successivamente in quel Paese».
L’America, ha scandito il presidente, non è il gendarme del mondo, ma nel caso dell’uso di armi chimiche in Siria dobbiamo poter usare in modo credibile la minaccia dell’uso della forza per costringere Assad a consegnare e distruggere il suo arsenale. Così, come previsto, Obama ha chiesto agli americani e al Congresso il sostegno all’eventuale azione militare, ma al tempo stesso ha invitato Camera e Senato a rinviare il loro voto in attesa di verificare la praticabilità della soluzione diplomatica improvvisamente profilatasi nelle precedenti 48 ore.
Un Obama che si è espresso in modo chiaro, ma ha pronunciato un discorso senza passione, costretto dagli eventi e dai suoi ripensamenti a procedere a zig zag. Un intervento criticato da molti analisti anche per quello che non contiene. Il presidente non ha fissato alcun paletto per il negoziato: non ha detto quanto tempo è disposto ad aspettare né ha indicato cosa si aspetta dall’Onu e in che modo la Siria dovrebbe provare di aver realmente consegnato tutte le sue armi chimiche.
E’ tutto demandato al negoziato che inizia oggi nel quale la Russia sembra continuare ad avere l’iniziativa. Mosca ha fatto sapere ieri di avere già consegnato agli americani una bozza del suo piano e Sergey Lavrov, la migliore mente diplomatica russa che in passato è stato anche ambasciatore di Mosca alle Nazioni Unite, conosce sicuramente assai meglio di Kerry tutti i protagonisti sul palcoscenico della crisi siriana e tutte le sottigliezze delle norme internazionali, comprese quelle del Palazzo di Vetro che gli possono consentire di giocare per un bel po’ a rimpiattino con il suo interlocutore.


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