by Sergio Segio | 14 Settembre 2013 7:54
Dopo aver fallito nel tentativo di delegittimare il presidente del Venezuela democraticamente eletto, Nicolas Maduro, l’opposizione già prepara le elezioni comunali dell’8 dicembre. In questa prospettiva, circola di recente la frottola – alimentata da alcuni media internazionali – che Maduro non sarebbe nato in Venezuela e pertanto, come previsto dalla Costituzione, la sua elezione non sarebbe valida. Su questa nuova campagna di «intossicazione» e su vari altri argomenti abbiamo conversato con Nicolás Maduro – a bordo di un elicottero che ci portava da Caracas a Tiguanes (nello stato venezuelano di Guárico) – il giorno stesso in cui si compivano i suoi primi cento giorni di governo come presidente della Repubblica Bolivariana.
Presidente, l’opposizione venezuelana ha lanciato una campagna per affermare che lei non è nato in Venezuela, ma a Cucuta, in Colombia, ed è in possesso della doppia cittadinanza, ciò che, secondo la Costituzione, la invaliderebbe come presidente. Come commenta questa accusa?
Lo scopo di questa follia lanciata da un demente dell’ultradestra panamense è di creare le condizioni per una destabilizzazione politica. Cercano di ottenere ciò che non hanno ottenuto né con le elezioni, né con colpi di stato, né con sabotaggi economici. Sono disperati. E si basano su un’ideologia anticolombiana che la borghesia e la destra venezuelane hanno sempre avuto contro il popolo della Colombia. A questo proposito, se io fossi nato a Cúcuta o Bogotá, mi sentirei felice di essere colombiano. È una nazione fondata da Bolívar. Se fossi nato a Quito o a Guayaquil, mi sentirei parimenti orgoglioso di essere ecuadoriano, perché è una terra liberata da Bolívar, o a Lima, Potosí o La Paz o a Cochabamba, sarei felice di essere peruviano e boliviano; e se fossi nato a Panama, terra di Omar Torrijos, terra di dignità che faceva parte della Gran Colombia di Bolívar, mi sentirei allo stesso modo orgoglioso di essere panamense. Ma io sono nato e cresciuto a Caracas, luogo di nascita del Libertador, in quella Caracas sempre turbolenta, ribelle, rivoluzionaria. Ed eccomi qui come presidente. Queste follie verranno ricordate come parte della crisi di disperazione schizofrenica in cui a volte precipita la destra internazionale per farla finita con questo faro di luce che è la rivoluzione bolivariana.
Per altro verso, il presidente della Assemblea nazionale, Diosdado Cabello, ha detto di recente che sono stati scoperti complotti contro di lei, con l’intenzione di assassinarla.
Sì, con il ministro dell’interno, Rodríguez Torres, e il presidente della Assemblea nazionale, Diosdado Cabello, abbiamo rivelato uno dei piani di omicidio che si stavano preparando per il 24 luglio, anniversario della nascita di Simón Bolívar, e la commemorazione dei 190 anni della battaglia navale di Maracaibo. Erano in possesso di un insieme di piani che abbiamo potuto neutralizzare e che hanno sempre la loro origine nella destra internazionale. Vi appare, per esempio, il nome di Álvaro Uribe (ex presidente della Colombia, nda), che ha un’ossessione contro il Venezuela e contro i figli di Chávez. Vi appare anche la vecchia mafia di Miami, quella di Posada Carriles, che ha il sostegno di importanti organi di potere negli Stati uniti. L’amministrazione Obama non ha voluto smantellare la mafia di Posada Carriles, un terrorista condannato e confesso, perseguito dalle leggi del nostro paese perché ha fatto saltare in aria un aereo della Cubana de Aviación nell’ottobre del 1976… Posso assicurarle che continueremo a difenderci, neutralizzando tali piani… e prevalendo. Se raggiungessero il loro obiettivo si creerebbe una situazione a cui non voglio nemmeno pensare. A chi meno conviene che capiti qualcosa del genere è la destra venezuelana. Scomparirebbe dalla mappa politica del nostro paese per 300 anni… Perché la rivoluzione prenderebbe un altro carattere, senza dubbio, molto più profondo, molto più socialista, molto più anti-imperialista. Speriamo che questi piani non abbiano mai successo, perché a loro andrebbe molto male. E io lo vedrei dal cielo…
Pensa che il fallimento del tentativo di destabilizzazione si debba alla politica che lei ha promosso, o a un cambiamento di atteggiamento della stessa opposizione in vista delle comunali dell’8 dicembre?
Si deve soprattutto alla forza istituzionale della democrazia venezuelana, e alla decisione che ho preso, appoggiandomi su quella forza, di sconfiggere tempestivamente il tentativo insurrezionale e la violenza. Non lasciare che si diffondesse. Non dimentichiamo che lo scorso aprile hanno tentato una sorta di insurrezione nelle principali città del paese.
Qual è il grado di violenza che è stato raggiunto?
Hanno ucciso undici persone, persone umili, tra cui una bambina e un bambino. E hanno causato quasi cento feriti, dei quali poco si parla. L’opposizione ha svelato il suo vero volto golpista. Mostrava buone maniere democratiche ma quando (il 5 marzo, nda) è morto il Comandante Chávez, ha deciso di disconoscere i risultati delle elezioni e di cercare di imporre con la forza – con il presunto supporto internazionale degli Stati Uniti e di altri governi di destra – un’operazione per destabilizzare la Rivoluzione. Siamo riusciti a sconfiggerli. Ora non hanno altro modo che riprovare, attraverso le elezioni, a occupare spazio nei comuni. Li abbiamo costretti a questo. Se non fosse stato per la nostra decisione di far rispettare la Costituzione, avrebbero spinto il paese in una situazione guerra civile.
Lei però ha lanciato l’allarme su possibili crepe nell’unità della Rivoluzione. Teme divisioni nel chavismo?
Le forze della divisione hanno sempre minacciato qualunque rivoluzione. Le aspirazioni al potere di gruppi e di individui sono la negazione del progetto stesso della Rivoluzione Bolivariana, che ha un carattere socialista, ed esige abnegazione e sacrificio. (…) Io sono il presidente, non per ambizione individuale o perché rappresento un gruppo economico o politico, no, io sono presidente perché il Comandante Chávez mi ha preparato, mi ha designato e il popolo venezuelano mi ha confermato in elezioni libere e democratiche. Quindi tutte queste forze dissolutrici esistono sempre. Ma la Rivoluzione ha la capacità morale, politica e ideologica per superare ogni tentativo di dividere le sue forze. Ho detto queste cose nel Llano venezuelano (una regione del paese, ndt), perché stavo vedendo lì, proprio di fronte a me, una persona che afferma di essere chavista ma, sotto sotto, è finanziato dai latifondisti, e che fa un discorso chavista per dividere. Non è impossibile che, quando questo individuo constati di non essere designato dalla Rivoluzione come candidato a sindaco del comune, si lanci per proprio conto… Siamo però nelle condizioni di presentare candidati unitari in quasi tutti i comuni del paese; e ci toccherà fare un grande sforzo per sconfiggere le forze disgregatrici di chi si dice chavista ma alla fine è alleato della controrivoluzione.
Rispetto alla prassi del precedente governo lei ha introdotto diversi cambiamenti: critica dell’insicurezza, denuncia della corruzione e, soprattutto, ciò che lei chiama il «governo della strada». Perché ha sentito il bisogno di insistere su questi temi? E qual è il suo bilancio del «governo della strada»?
In primo luogo, il «governo della strada» è un metodo perché vi sia una direzione collettiva della Rivoluzione. In secondo luogo, si è creato un sistema di governo in cui non ci sono intermediari tra il potere popolare locale e il governo nazionale. Questo fornisce una soluzione a problemi specifici ma soprattutto contribuisce alla costruzione del socialismo, delle comuni, di un’economia socialista, e al consolidamento di un sistema di salute pubblica integrale, gratuito, di qualità, e di un sistema educativo pubblico e gratuito di qualità… «Il governo della strada» è una rivoluzione nella rivoluzione.
Se l’opposizione vincesse le elezioni comunali di dicembre è probabile che chiederà un referendum per revocarla nel 2015. Come si prepara?
Siamo preparati a tutti gli scenari. Al popolo stiamo dicendo sempre la verità. Se l’opposizione dovesse prendere molti voti, cercherà di intensificare la destabilizzazione per disgregare la nostra patria, porre fine all’indipendenza e cancellare la Rivoluzione del Comandante Chávez e il concetto di Repubblica bolivariana. Imporrebbero scenari di destabilizzazione violenta, per prima cosa, e gli Stati uniti cercheranno di annullare i livelli di indipendenza e di unità che l’America Latina ha oggi. Abbiamo una grande responsabilità, perché noi difendiamo un progetto che può rendere possibile un altro mondo nella nostra regione e può contribuire a creare un mondo multipolare, senza egemonie economiche e militari né politiche dell’imperialismo statunitense. Un altro mondo, che rispetti i diritti dei popoli del Sud- e anche dei popoli d’Europa, perché l’Europa si scuota di dosso il neoliberismo – dipende da questo: che in America latina trionfino definitivamente i progetti per costruire un blocco di forze tali da consolidare l’idea che non siamo più un «cortile» degli Stati Uniti. Tutto questo però dipende in gran parte da quel che accade qui in Venezuela.
Come pensa di vincere alle comunali del prossimo 8 dicembre?
C’è un elettorato che ha sempre votato per l’opposizione. (…) e chi non ha votato per noi lo ha fatto perché scontento, per le cose fatte male, i problemi accumulati… Tuttavia, questi elettori non hanno mai sostenuto le avventure golpiste e antibolivariane della destra. A quei venezuelani e a quelle venezuelane noi, in modo permanente, diciamo che stiamo lavorando per la strada a migliorare le cose. Sanno che non è stato facile. E che l’epopea più grande è stata, alla vigilia del 14 aprile, superare la tragedia storica della morte del Comandante Hugo Chávez. Superare il lutto collettivo. Quando una persona entra in lutto può perdere la speranza, non credere più in nulla. E buona parte del popolo venezuelano è entrata in un profondo lutto. (…) Perciò la nostra vittoria del 14 aprile è stata veramente eroica. Quello che stiamo facendo – il «governo della strada», la ripresa dell’economia, l’attenzione a problemi improrogabili come l’insicurezza cittadina, la corruzione… – ci darà la forza per una grande vittoria l’8 dicembre. (…)
Fin dove pensa di arrivare nella sua lotta contro la corruzione?
Fino alle estreme conseguenze. Ci serviremo di tutto. Siamo di fronte a una destra molto corrotta. (…) Ma siamo anche di fronte alla corruzione annidata all’interno del campo rivoluzionario o all’interno dello stato. Non ci sarà tregua! Ho costituito una squadra segreta di ricercatori incorruttibili che hanno già scoperto casi enormi. Abbiamo già arrestato persone al più alto livello e continueremo ad attaccare duramente. Tutti saranno giudicati e andranno dove devono andare: in galera.
Come vede la situazione economica?Diverse analisi mettono in guardia circa l’alto livello di inflazione.
L’economia del Venezuela è in transizione verso un nuovo modello di produzione, diversificato e «socialista del XXI secolo», nell’ambito della costruzione di un nuovo quadro economico costituito dall’integrazione sudamericana e latinoamericana. Non si deve dimenticare che ora siamo membri del Mercosur (…), membri di Alba (Alleanza Bolivariana per i popoli della nostra América, ndt) e guidiamo Petrocaribe. Si tratta di un blocco di 24 paesi del continente che potrebbe rappresentare – mettendo insieme Mercosur, Alba e Petrocaribe – quasi la quarta economia mondiale… Perciò dobbiamo trasformare l’economia venezuelana e collegarla con lo sviluppo di questo nuovo quadro economico, e a nostra volta integrarci nell’economia mondiale in una situazione di vantaggio. Non di dipendenza. Per questo dico che siamo in fase di transizione. Sull’inflazione le dirò che abbiamo subito un attacco molto duro, speculativo, contro la nostra moneta, e lo stiamo superando. C’è anche un sabotaggio sulla fornitura di vari prodotti. Tutto questo produce inflazione. Ma abbiamo cominciato a controllare, a equilibrare, e sono sicuro che supereremo questa situazione nel resto del secondo semestre. Stabilizzeremo la moneta. Già abbiamo iniziato a stabilizzare l’approvvigionamento, ma la chiave principale per uscire da questo modello di rendita, dipendente, è di diversificare la nostra produzione. Stiamo realizzando grandi investimenti in settori chiave della produzione alimentare, dell’agro-industria e dell’industria pesante. (…) Recentemente abbiamo fatto un giro in Europa e siamo molto ottimisti sul fatto che il capitale arrivi da Francia, Italia, Portogallo… Desideriamo che arrivi capitale anche da Brasile, India, Cina, con la loro tecnologia, per sviluppare l’industria intermedia in Venezuela, e diversificare. Affinché il Venezuela non faccia più affidamento solo sul petrolio, (…) anche se non dimentichiamo che qui abbiamo le maggiori riserve del mondo e la quarta più grande riserva di gas. Il Venezuela è un’economia con molto potere economico e finanziario. A partire dal 2014 sono sicuro che torneremo a crescere.
Come si spiega però la carenza di merci?
Fa parte della «guerra silenziosa» di attori politici ed economici, nazionali e internazionali, iniziata nel dicembre dell’anno scorso quando le condizioni del Comandante Chávez hanno cominciato ad aggravarsi. In più, ci sono stati errori nel sistema di cambio delle valute, errori che abbiamo corretto. Queste forze antibolivariane hanno cominciato a colpire la fornitura dei prodotti che importiamo. Inoltre, per spiegare la scarsità di alcuni prodotti, si deve rilevare che il potere d’acquisto dei venezuelani ha continuato a salire. Abbiamo solo un 6 per cento di disoccupazione e il salario minimo urbano qui è il più alto dell’America latina. Un altro punto importante riconosciuto dalla Fao è che siamo il paese che ha fatto di più per combattere la fame. Tutto questo – è molto importante tenerlo in conto – ha generato un aumento della capacità di consumo della popolazione, che sta crescendo ogni anno di oltre il 10 per cento. I consumi crescono a un ritmo superiore alla capacità produttiva del paese e della capacità che abbiamo di rifornirci con le importazioni. Il Comandante Chávez, l’ultima volta che ho parlato con lui personalmente, il 22 febbraio scorso, quando valutammo la situazione economica e parlammo della penuria, disse: «Si è scatenata una ‘guerra economica’ per approfittare della mia malattia nella speranza di arrivare a un’elezione presidenziale». Ma oggi stiamo uscendo da questi problemi. Al popolo venezuelano non è mai mancato il cibo. Mai. Vada in qualunque quartiere popolare, di quelli che ho conosciuto negli anni Ottanta, dove i bambini morivano di fame, dove la gente mangiava una volta al giorno e qualche volta era cibo buono per i cani … Vada nel quartiere più umile che può trovare, non importa dove, si metta lì, apra la dispensa, e vedrà carne, riso, olio, latte… Il popolo ha la garanzia del cibo, e l’ha avuta nelle peggiori circostanze della «guerra economica» che ci hanno fatto. (…) Per questo abbiamo la stabilità sociale e politica. Oggi questa guerra è molto diversa da quella di undici anni fa. (…) È tutto morbido, nascosto, e la destra fascistoide arriva sorridendo: «Questo governo è incapace perché non può rifornirsi di prodotti». (…) Ma lo stiamo superando e ci stiamo vaccinando (…).
In economia quale ruolo vede per il settore privato?
Storicamente, il settore privato è poco sviluppato in Venezuela. Non c’è mai stata una borghesia nazionale. Il settore privato, in via principale, si è sviluppato quando si è scoperto come fattore molto legato all’appropriazione dei proventi petroliferi. Quasi tutte le grandi ricchezze della borghesia venezuelana sono legate alla manipolazione del dollaro, sia per importare i prodotti (la borghesia commerciale) che per appropriarsi della rendita e collocarla nei conti delle grandi banche all’estero. Quindi, in cento anni, non abbiamo avuto una borghesia produttiva come l’ha avuta il Brasile, per esempio, o l’Argentina. Ora è il momento in cui stiamo vedendo sorgere settori privati legati alla vera produzione di ricchezza per il paese. Nel modello socialista venezuelano, il settore privato ha un ruolo da giocare nella diversificazione dell’economia. Da sempre il Comandante Hugo Chávez ha favorito i rapporti con il settore privato, sia nella piccola come nella media o grande impresa. Ha favorito lo sviluppo di imprese miste e l’arrivo di capitale straniero. Il Venezuela ha una politica economica: per selezionare in quale area sono necessari investimenti esteri e che capitale può venire e a quali condizioni. Per esempio, benché il nostro petrolio sia nazionalizzato, ci sono modi diversi che permettono investimenti nella Cintura dell’Orinoco da parte di tutto il capitale mondiale; là ci sono aziende di tutto il mondo, imprese miste: il 40% capitale internazionale, il 60% Venezuela. Facciamo pagare le tasse dovute – in precedenza si pagava l’1 per cento, oggi il 33. Il Venezuela offre tutte le garanzie costituzionali per ricevere il capitale internazionale.
Come vanno i rapporti con Washington?
Vorrei dire, innanzitutto, che l’elezione di Obama a presidente è l’effetto di alcune circostanze. Si tratta di una circostanza all’interno della classe dirigente degli Stati uniti. Perché Obama arriva alla presidenza? Perché conveniva agli interessi degli complesso militare-finanziario e delle comunicazioni che dirige gli Stati uniti con un progetto imperiale. Chi conosce a fondo la storia della fondazione degli Usa e del loro espansionismo riconoscerà che è il più potente impero che sia esistito, con un progetto di dominazione mondiale. Le élites degli Usa hanno eletto Obama in funzione dei loro interessi. E hanno raggiunto parte dell’obiettivo che si proponevano: far sì che un paese isolato e screditato, ossia gli Stati uniti nell’era di George W. Bush, si trasformasse, grazie a Obama, in una potenza che possiede di nuovo capacità di influenza e di dominio. Vediamo il caso dell’Europa, soggetta ai dettami di Washington come mai prima. Quel che è successo al presidente della Bolivia Evo Morales quando quattro stati europei gli hanno negato il proprio spazio aereo, è una dimostrazione gravissima di come, da Washington, vengono diretti i governi europei. È davvero molto sconcertante. Non so se i popoli europei lo sanno, perché a volte, con il controllo della comunicazione che c’è, queste notizie vengono banalizzate e lasciate ai margini. Ma è molto grave. Obama è riuscito a far sì che l’Impero cresca in influenza politica. Gli Stati Uniti si stanno preparando per una nuova fase, che consiste nella crescita del dominio militare ed economico. In America latina, il loro progetto è rovesciare i processi progressisti di cambiamento per farci tornare a essere il loro cortile. Perciò stanno tornando – con un altro nome – al progetto dell’Alca (Area di Libero Commercio delle Americhe): per dominarci economicamente e riprendere gli stessi metodi del passato. Guardi cosa è successo sotto la presidenza Obama: colpo di stato in Honduras diretto dal Pentagono; tentato colpo di stato contro il presidente dell’Ecuador, Rafael Correa, teleguidato dalla Cia; colpo di stato in Paraguay gestito da Washington per rimuovere il presidente Fernando Lugo… Che nessuno si illuda, se gli Stati uniti vedono che ci sono condizioni favorevoli tornerebbero subito a riempire di oscurità e morte l’America Latina. Perciò il rapporto dell’amministrazione Obama con noi è schizofrenico. Pensano di poterci ingannare con la «diplomazia soft», che ci lasceremo dare il «bacio della morte». Ma noi lo abbiamo sempre detto molto chiaramente: voi là con il vostro progetto imperialista, noi qui con il nostro progetto di liberazione. L’unico modo per instaurare una relazione stabile e permanente è che ci rispettino. Perciò ho detto: «Tolleranza zero verso la mancanza di rispetto gringa e delle sue élites. Non lo tollereremo più». Se continuano ad attaccarci, risponderemo a ogni aggressione con maggiore forza. È il tempo della tolleranza zero.
* Ignacio Ramonet è il direttore di Le Monde Diplomatique spagnolo su cui, a settembre, è comparsa questa intervista realizzata il 31 luglio, di cui pubblichiamo ampi stralci. Traduzione dallo spagnolo a cura di www.democraziakmzero.org . stato facile. E che l’epopea più grande è stata, alla vigilia del 14 aprile, superare la tragedia storica della morte del Comandante Hugo Chávez. Superare il lutto collettivo. Quando una persona entra in lutto può perdere la speranza, non credere più in nulla. E buona parte del popolo venezuelano è entrata in un profondo lutto. (…) Perciò la nostra vittoria del 14 aprile è stata veramente eroica. Quello che stiamo facendo – il «governo della strada», la ripresa dell’economia, l’attenzione a problemi improrogabili come l’insicurezza cittadina, la corruzione… – ci darà la forza per una grande vittoria l’8 dicembre. (…) Fin dove pensa di arrivare nella sua lotta contro la corruzione? Fino alle estreme conseguenze. Ci serviremo di tutto. Siamo di fronte a una destra molto corrotta. (…) Ma siamo anche di fronte alla corruzione annidata all’interno del campo rivoluzionario o all’interno dello stato. Non ci sarà tregua! Ho costituito una squadra segreta di ricercatori incorruttibili che hanno già scoperto casi enormi. Abbiamo già arrestato persone al più alto livello e continueremo ad attaccare duramente. Tutti saranno giudicati e andranno dove devono andare: in galera. Come vede la situazione economica? Diverse analisi mettono in guardia circa l’alto livello di inflazione. L’economia del Venezuela è in transizione verso un nuovo modello di produzione, diversificato e «socialista del XXI secolo», nell’ambito della costruzione di un nuovo quadro economico costituito dall’integrazione sudamericana e latinoamericana. Non si deve dimenticare che ora siamo membri del Mercosur (…), membri di Alba (Alleanza Bolivariana per i popoli della nostra América, ndt ) e guidiamo Petrocaribe. Si tratta di un blocco di 24 paesi del continente che potrebbe rappresentare – mettendo insieme Mercosur, Alba e Petrocaribe – quasi la quarta economia mondiale… Perciò dobbiamo trasformare l’economia venezuelana e collegarla con lo sviluppo di questo nuovo quadro economico, e a nostra volta integrarci nell’economia mondiale in una situazione di vantaggio. Non di dipendenza. Per questo dico che siamo in fase di transizione. Sull’inflazione le dirò che abbiamo subito un attacco molto duro, speculativo, contro la nostra moneta, e lo stiamo superando. C’è anche un sabotaggio sulla fornitura di vari prodotti. Tutto questo produce inflazione. Ma abbiamo cominciato a controllare, a equilibrare, e sono sicuro che supereremo questa situazione nel resto del secondo semestre. Stabilizzeremo la moneta. Già abbiamo iniziato a stabilizzare l’approvvigionamento, ma la chiave principale per uscire da questo modello di rendita, dipendente, è di diversificare la nostra produzione. Stiamo realizzando grandi investimenti in settori chiave della produzione alimentare, dell’agro-industria e dell’industria pesante. (…) Recentemente abbiamo fatto un giro in Europa e siamo molto ottimisti sul fatto che il capitale arrivi da Francia, Italia, Portogallo… Desideriamo che arrivi capitale anche da Brasile, India, Cina, con la loro tecnologia, per sviluppare l’industria intermedia in Venezuela, e diversificare. Affinché il Venezuela non faccia più affidamento solo sul petrolio, (…) anche se non dimentichiamo che qui abbiamo le maggiori riserve del mondo e la quarta più grande riserva di gas. Il Venezuela è un’economia con molto potere economico e finanziario. A partire dal 2014 sono sicuro che torneremo a crescere. Come si spiega però la carenza di merci? Fa parte della «guerra silenziosa» di attori politici ed economici, nazionali e internazionali, iniziata nel dicembre dell’anno scorso quando le condizioni del Comandante Chávez hanno cominciato ad aggravarsi. In più, ci sono stati errori nel sistema di cambio delle valute, errori che abbiamo corretto. Queste forze antibolivariane hanno cominciato a colpire la fornitura dei prodotti che importiamo. Inoltre, per spiegare la scarsità di alcuni prodotti, si deve rilevare che il potere d’acquisto dei venezuelani ha continuato a salire. Abbiamo solo un 6 per cento di disoccupazione e il salario minimo urbano qui è il più alto dell’America latina. Un altro punto importante riconosciuto dalla Fao è che siamo il paese che ha fatto di più per combattere la fame. Tutto questo – è molto importante tenerlo in conto – ha generato un aumento della capacità di consumo della popolazione, che sta crescendo ogni anno di oltre il 10 per cento. I consumi crescono a un ritmo superiore alla capacità produttiva del paese e della capacità che abbiamo di rifornirci con le importazioni. Il Comandante Chávez, l’ultima volta che ho parlato con lui personalmente, il 22 febbraio scorso, quando valutammo la situazione economica e parlammo della penuria, disse: «Si è scatenata una ‘guerra economica’ per approfittare della mia malattia nella speranza di arrivare a un’elezione presidenziale». Ma oggi stiamo uscendo da questi problemi. Al popolo venezuelano non è mai mancato il cibo. Mai. Vada in qualunque quartiere popolare, di quelli che ho conosciuto negli anni Ottanta, dove i bambini morivano di fame, dove la gente mangiava una volta al giorno e qualche volta era cibo buono per i cani … Vada nel quartiere più umile che può trovare, non importa dove, si metta lì, apra la dispensa, e vedrà carne, riso, olio, latte… Il popolo ha la garanzia del cibo, e l’ha avuta nelle peggiori circostanze della «guerra economica» che ci hanno fatto. (…) Per questo abbiamo la stabilità sociale e politica. Oggi questa guerra è molto diversa da quella di undici anni fa. (…) È tutto morbido, nascosto, e la destra fascistoide arriva sorridendo: «Questo governo è incapace perché non può rifornirsi di prodotti». (…) Ma lo stiamo superando e ci stiamo vaccinando (…). In economia quale ruolo vede per il settore privato? Storicamente, il settore privato è poco sviluppato in Venezuela. Non c’è mai stata una borghesia nazionale. Il settore privato, in via principale, si è sviluppato quando si è scoperto come fattore molto legato all’appropriazione dei proventi petroliferi. Quasi tutte le grandi ricchezze della borghesia venezuelana sono legate alla manipolazione del dollaro, sia per importare i prodotti (la borghesia commerciale) che per appropriarsi della rendita e collocarla nei conti delle grandi banche all’estero. Quindi, in cento anni, non abbiamo avuto una borghesia produttiva come l’ha avuta il Brasile, per esempio, o l’Argentina. Ora è il momento in cui stiamo vedendo sorgere settori privati legati alla vera produzione di ricchezza per il paese. Nel modello socialista venezuelano, il settore privato ha un ruolo da giocare nella diversificazione dell’economia. Da sempre il Comandante Hugo Chávez ha favorito i rapporti con il settore privato, sia nella piccola come nella media o grande impresa. Ha favorito lo sviluppo di imprese miste e l’arrivo di capitale straniero. Il Venezuela ha una politica economica: per selezionare in quale area sono necessari investimenti esteri e che capitale può venire e a quali condizioni. Per esempio, benché il nostro petrolio sia nazionalizzato, ci sono modi diversi che permettono investimenti nella Cintura dell’Orinoco da parte di tutto il capitale mondiale; là ci sono aziende di tutto il mondo, imprese miste: il 40% capitale internazionale, il 60% Venezuela. Facciamo pagare le tasse dovute – in precedenza si pagava l’1 per cento, oggi il 33. Il Venezuela offre tutte le garanzie costituzionali per ricevere il capitale internazionale. Come vanno i rapporti con Washington? Vorrei dire, innanzitutto, che l’elezione di Obama a presidente è l’effetto di alcune circostanze. Si tratta di una circostanza all’interno della classe dirigente degli Stati uniti. Perché Obama arriva alla presidenza? Perché conveniva agli interessi degli complesso militarefinanziario e delle comunicazioni che dirige gli Stati uniti con un progetto imperiale. Chi conosce a fondo la storia della fondazione degli Usa e del loro espansionismo riconoscerà che è il più potente impero che sia esistito, con un progetto di dominazione mondiale. Le élites degli Usa hanno eletto Obama in funzione dei loro interessi. E hanno raggiunto parte dell’obiettivo che si proponevano: far sì che un paese isolato e screditato, ossia gli Stati uniti nell’era di George W. Bush, si trasformasse, grazie a Obama, in una potenza che possiede di nuovo capacità di influenza e di dominio. Vediamo il caso dell’Europa, soggetta ai dettami di Washington come mai prima. Quel che è successo al presidente della Bolivia Evo Morales quando quattro stati europei gli hanno negato il proprio spazio aereo, è una dimostrazione gravissima di come, da Washington, vengono diretti i governi europei. È davvero molto sconcertante. Non so se i popoli europei lo sanno, perché a volte, con il controllo della comunicazione che c’è, queste notizie vengono banalizzate e lasciate ai margini. Ma è molto grave. Obama è riuscito a far sì che l’Impero cresca in influenza politica. Gli Stati Uniti si stanno preparando per una nuova fase, che consiste nella crescita del dominio militare ed economico. In America latina, il loro progetto è rovesciare i processi progressisti di cambiamento per farci tornare a essere il loro cortile. Perciò stanno tornando – con un altro nome – al progetto dell’Alca (Area di Libero Commercio delle Americhe) : per dominarci economicamente e riprendere gli stessi metodi del passato. Guardi cosa è successo sotto la presidenza Obama: colpo di stato in Honduras diretto dal Pentagono; tentato colpo di stato contro il presidente dell’Ecuador, Rafael Correa, teleguidato dalla Cia; colpo di stato in Paraguay gestito da Washington per rimuovere il presidente Fernando Lugo… Che nessuno si illuda, se gli Stati uniti vedono che ci sono condizioni favorevoli tornerebbero subito a riempire di oscurità e morte l’America Latina. Perciò il rapporto dell’amministrazione Obama con noi è schizofrenico. Pensano di poterci ingannare con la «diplomazia soft», che ci lasceremo dare il «bacio della morte». Ma noi lo abbiamo sempre detto molto chiaramente: voi là con il vostro progetto imperialista, noi qui con il nostro progetto di liberazione. L’unico modo per instaurare una relazione stabile e permanente è che ci rispettino. Perciò ho detto: «Tolleranza zero verso la mancanza di rispetto gringa e delle sue élites. Non lo tollereremo più ». Se continuano ad attaccarci, risponderemo a ogni aggressione con maggiore forza. È il tempo della tolleranza zero. * Ignacio Ramonet è il direttore di L e Monde Diplomatique spagnolo su cui, a settembre, è comparsa questa intervista realizzata il 31 luglio, di cui pubblichiamo ampi stralci. Traduzione dallo spagnolo a cura di www.democraziakmzero.org .
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