Lo spettacolo dell’uomo

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 E ANCHE tutte le sincere o doverose commemorazioni delle persone morte per il più cretino dei ghiribizzi. Così si può disporsi a guardare per guardare, senza pregiudizio, senza allegrie e pene di naufragi: guardare come riusciranno uomini come noi, o quasi (anche donne, come la signora Sargentini del monitoraggio ambientale dalla voce roca) a manovrare congegni spaventosamente enormi, buoni a riparare la povera carcassa che, quando era un’enormità disgustosa e ottusa, pretendeva di chiamarsi nave. Abbiamo guardato un po’ tutti, chi poteva, almeno all’inizio — poi era un po’ lento — da casa, dall’ufficio, dal bar: è stata la nostra giornata al mare in più. Qualcuno la sapeva già lunga, altri si sono beati di cifre e paragoni mirabolanti. Che cosa c’è di più bello che le cifre smisurate e i paragoni iperbolici? La carcassa da risollevare è grande come 100 aerei Boeing: Madonna santa! (Già, ma quanto sarà grande un aereo Boeing? Come 100 Fiat Punto? 200 frigoriferi come il mio?) «Sono 30 mila quintali di acciaio!» — dice uno al vicino di banco. «No, dai, è incredibile! », «Scusa, volevo dire 30 mila tonnellate». «Ah!» Quattro volte la Torre Eiffel, comunque. La Torre Eiffel la sanno tutti, ci sono pure saliti. Diciamo la verità, tutto quell’azzurro del mare, e del cielo, e dello scafo, è di una bellezza fantastica, a prescindere. L’ingegner Girotto, magnifico ingegner Girotto, tranquillizza: «I ritardi sono fisiologici». Come i bisogni: è bella anche la fisiologia di quell’impresa gigantesca (Titanica, dal nome della ditta americana). I cassoni sono alti come palazzi di dieci piani, quasi di undici: occorrerà forse un’ora per allagarli. (Commenti, che non superino le 500 battute: «Ma come c…o un’ora! Li riempiono con una caraffa?», «Solo un’ora, c…o! Che fanno, li affondano?»). Tutto viene manovrato a distanza — comandi remoti — non si può far correre agli uomini il rischio di salire sul relitto. No, macché, sono sopra, guardali, sullo scafo in bilico: eh, come sembrano piccoli! Non è che sono piccoli:
sono uomini-ragno. Piano vanno piano, ma vuoi mettere la meraviglia di sentire per un giorno intero questo sciabordio che va e che viene, e questi colori. Però era bellissimo anche di notte, con tutta la piattaforma illuminata che sembrava Fellini, e il cielo squarciato dai lampi. Alla seconda ora, i cronisti e le croniste dicono già Parbuckling come se non avessero detto altro tutta la vita, meglio che spread — in streaming. «Il Parbuckling è l’aggiornamento di una tecnica ottocentesca». «Dai! Come l’ologramma di Tupac Shakur al festival di Coachella
l’anno scorso, non era mica un ologramma: era una cosa bidimensionale, una proiezione dell’Ottocento ». «L’hanno rifatto con Madre Teresa ». La voce roca della signora Sargentini ripete pazientemente: «Pali sì, ma di due metri di diametro, piantati per 10 metri sott’acqua dentro il granito, capisce?». Si vorrebbe sapere di più sui robot subacquei, e sugli Strand Jack — «Guarda, sono cric, no cric, martinetti, ma molto più forti». «E Schettino…». «No eh? Almeno oggi Schettino non lo voglio sentir nominare». «Va be’, ma l’hai vista la vignetta di Makkox: «Comandante le ho detto ruoti cazzo! ». Ecco Nick Sloane, lui sì che è un uomo! Ha ripescato relitti giganteschi in Pakistan, Arabia Saudita, Yemen, Emirati, Usa, Australia, Papua Nuova Guinea, Brasile, Messico, Hong Kong…».
Infatti.
Seconda parte. A questo punto, siccome la rotazione per ora va molto bene — «Delusi? — protesta l’assediato Gabrielli — Volete per forza il problema?» — spostiamoci dallo schermo, e andiamo a vedere come mai ci sono tanti relitti colossali in giro per Sloane: non faranno mica l’inchino. E allora sentite, caso mai pensaste che non c’era niente da scherzare. Infatti. Nel Mediterraneo ci sono centinaia di navi affondate o arenate, e solo di carburante superano di venti volte la marea nera della Deepwater Horizon del golfo del Messico 2010, che superava di dieci volte la Exxon Valdez 1989. Molti relitti militari sono carichi di iprite, di cui ora si riparla tanto. Leggo che ci sono relitti con armi chimiche al largo di Ischia, Manfredonia e Pesaro. Lì pare che bonifiche o recuperi costino troppo: tanto non si vedono. Ogni anno sono migliaia le navi da demolire. Benché la Ue abbia norme più restrittive di quelle della convenzione di Hong Kong, che equiparano le imbarcazioni da demolire a rifiuti pericolosi, che dunque devono essere smaltiti dentro l’Unione, gli armatori continuano a trovare il modo di farle insabbiare sulle coste del sud dell’Asia: anche semplicemente vendendole alla vigilia a bandiere extraeuropee. Nel 2012 vi sono state abbandonate 167 navi greche, 48 tedesche, 30 inglesi, 23 norvegesi, 13 cipriote, 8 bulgare, 6 danesi, 5 olandesi. Sulle spiagge indiane di Alang, intatte fino al 1983, oggi il più grande “cantiere” asiatico, masse di lavoratori smantellano a mani nude navi tossiche, cisterne coi residui di greggio, navi da crociera imbottite di amianto, relitti di guerra, portacontainer usati per rifiuti tossici. Fate un conto: le compagnie europee possiedono il 40 per cento delle navi in funzione, e quasi l’80 per cento delle navi da demolire finiscono in India, a Chittagong in Bangladesh, in Pakistan. Le navi da demolire ogni anno sono quasi 1.000. Dal 2015 per di più sarà vietata la circolazione delle petroliere monoscafo. L’industria siderurgica dipenderà largamente dalla rottamazione navale.
Ecco. Torniamo a vedere a quanti gradi sono arrivati al Giglio. Lento è lento, ma c’è tutto quel blu, e poi lo sciabordio in sottofondo. «Lo sai che certe super-superpetroliere arrivano a una portata di 500 mila quintali?», «Ma dai, no, è incredibile! », «Volevo dire 500 mila tonnellate ». «Ah». «E passano da Venezia?».


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