Lo scontro sui tempi rimette di colpo il governo in bilico

by Sergio Segio | 10 Settembre 2013 5:24

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La durezza di Pd e Movimento 5 Stelle rende le divisioni più radicali. E nella mossa del leader del Pdl di riunire i suoi parlamentari domani si può anche intravedere l’oscura minaccia di scaricare sul governo di Enrico Letta un voto negativo, per quanto atteso. È difficile, tuttavia, non vedere una manovra al limite della disperazione in questi tentativi di rinviare quanto più possibile il verdetto parlamentare.
In apparenza, la prospettiva di una crisi non è scongiurata. E gli attestati di lealtà del centrodestra al Cavaliere restringono qualunque ipotesi di “tradimento”. Eppure, fra l’ipotesi di far franare una maggioranza che Berlusconi è stato il primo a promuovere, e la decisione di affossarla per protesta contro la sua incandidabilità vidimata dal Parlamento potrebbe aprirsi un mare di distinguo. Per sapere se la Corte europea dei diritti dell’uomo accoglierà il ricorso berlusconiano contro la sentenza della Cassazione bisognerà aspettare almeno tre o quattro mesi: troppo, per una sinistra determinata a chiudere la questione in tempi relativamente brevi.
Quella del Cavaliere viene considerata un’agonia politica che sarebbe inutile prolungare, perché il risultato sarebbe l’immobilismo dell’esecutivo. Ma soprattutto, il calcolo del Pd, azzardato o meno, è che le probabilità di una crisi siano minori di quanto si pensi; che in realtà anche in Senato esistano i numeri per una maggioranza alternativa a quella trasversale di oggi; e che, se si dovesse veramente arrivare alla conta, nello stesso Pdl si aprirebbe qualche varco perché nessuno vuole andare alle urne il prossimo anno. Fra l’altro, la leggera risalita dello spread, la differenza fra gli interessi di titoli italiani e tedeschi, suona come un ammonimento a Berlusconi a non tirare troppo la corda.
Per questo, si tende a leggere lo scontro nella giunta di Palazzo Madama come un copione in qualche misura dovuto e inevitabile. Le eccezioni presentate dal Pdl a difesa dell’ex premier saranno votate probabilmente stanotte o domani: senza spostare di un millimetro le posizioni, però. Il centrodestra continua a spedire ultimatum, avvertendo che se ci fosse un sì alla decadenza senza ulteriore discussione, la maggioranza non esisterebbe più. Il risultato, però, finora è solo quello di sentirsi respingere gli altolà come inaccettabili. Non si scambia la stabilità del governo con l’impunità di Berlusconi, replica un Pd che non può permettersi di apparire cedevole agli occhi del movimento di Beppe Grillo e dei militanti.
È una sfida che non consente comunque di essere ottimisti: si arrivi a una crisi o meno, gli schieramenti si preparano a un muro contro muro destinato a rendere ancora più difficile la vita del governo. L’ipotesi alla quale il Quirinale lavora sono elezioni anticipate non prima del 2015: dopo il semestre di presidenza italiana dell’Ue all’inizio dell’estate del prossimo anno. Fra l’altro, sarebbe la sola maniera per evitare di bloccare di nuovo l’evoluzione di un sistema che in quasi vent’anni ha funzionato male. Ma l’irritazione, perfino lo stupore per una sfida della sinistra che agli occhi del Pdl suona come provocazione, può produrre scarti inaspettati. La domanda è verso quali sbocchi Berlusconi cercherà di portare il suo partito; e quanti, sia in caso di rottura che di compromesso in extremis, saranno disposti a seguirlo compatti come nel passato.

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