L’ipotesi di un bis se il Pdl si spacca
«PESANTI per lo Stato e per i cittadini. L’instabilità ci potrebbe sottrarre un miliardo, un miliardo e mezzo» solo per l’aumento dei tassi di interesse sul debito. Ma nei colloqui privati, il premier affronta anche le strade alternative, nel caso di uno strappo di Berlusconi. «Non accetterò accordi al ribasso o peggio ancora accordicchi. A me interessa la stabilità del Paese, non quella della mia poltrona».
Il premier sta esaminando gli scenari possibili. «Sarebbe inaccettabile una crisi pilotata con i ministri del Pdl che escono e poi rientrano. Nessuno la capirebbe e il governo ne uscirebbe più debole. Non è questa la via». Tantomeno un Letta bis non potrebbe nascere sulla base di un nuovo “contratto” con il Pdl che preveda l’appoggio esterno: niente ministri nella squadra ma un sostegno alla maggioranza delle larghe intese. «Non avrebbe alcun senso e soprattutto alcun futuro. Non riusciremmo a combinare nulla. L’Italia ha bisogno di riforme ed è già molto difficile governare così. Figuriamoci con l’appoggio esterno».
L’idea che alcuni transfughi del Pdl e un pugno di grillini siano in grado di dare vita a un esecutivo ancora più provvisorio di quello attuale viene scartata dal premier. E dal Pd. Letta e il suo partito, in questo caso, parlano la stessa lingua. «Un altro governo potrebbe vedere la luce solo in presenza di un fatto politico — è il ragionamento comune —. Cioè se nel Pdl si crea uno smottamento, una spaccatura concreta e nasce una cosa diversa dalla creatura berlusconiana che è oggi. Se l’operazione è fatta in grande con l’obiettivo di far nascere la costola del Ppe in Italia, allora…». Ma è uno scenario realistico? È immaginabile che in pochi giorni possano saldarsi Scelta civica, l’Udc di Casini e la scissione pidiellina in un fantomatico centro? I dubbi superano di gran lunga le certezze. Berlusconi resta il capo indiscusso del centrodestra, difficile pensare che si possa avviare una diversa stagione politica in quel campo senza di lui o sulla sua pelle di condannato.
Ecco perché il discorso di ieri alla Camera illumina la vera strada maestra perseguita da Letta e da Giorgio Napolitano, con il sostegno di Gugliemo Epifani: continuare la legislatura con il governo in carica, senza toccare alcuna casella. Salvare le larghe intese così come sono: l’unico modo per raggiungere i traguardi che Letta ha in mente. Ieri ne ha indicato uno fondamentale, ridurre il cuneo fiscale: «Con il piano d’azione l’Italia ha assunto impegni netti per tagliare il costo del lavoro. È il cuore della politica di crescita».
Ma la partita si gioca sul corto respiro, sul giorno per giorno, sugli umori del Cavaliere per la sua sorte nella giunta del Senato. Lo scontro “tecnico” del voto per la decadenza e del suoi tempi ha di nuovo allargato il solco tra i due principali alleati di governo. Ieri Luigi Zanda, con un certo allarme, ha fatto sapere a Largo del Nazareno e Palazzo Chigi che il Pd non può più accettare la tattica dilatoria del Pdl. Anche se fosse di uno o due giorni. «Basta vedere la reazione della nostra gente — ha spiegato il capogruppo al Senato — dopo l’accelerazione di lunedì notte e quella successiva alla tregua e al rinvio che pure rientra nella normalità. È andata molto meglio lunedì. Non accettano l’idea che noi si faccia da sponda alle paturnie di Berlusconi. È vero che non dobbiamo forzare e non possiamo offrire pretesti. Ma è inaccettabile tirarla per le lunghe». Letta da giorni è convinto che dilazionare il voto della giunta sia un falso problema: «Prima o poi la resa dei conti arriva». Nessun patema dunque a Palazzo Chigi per la scelta di domani sulla data del voto nella commissione. Non si andrà oltre lunedì o martedì e al premier va bene così. Anche se nel giro stretto dei collaboratori di Letta sanno che è cominciato il count down, che il voto, a meno di dimissioni di Berlusconi, sarà lo spartiacque della legislatura. Perché quel giorno Pd e Pdl, i due pilastri della maggioranza, voteranno in maniera opposta. E lo faranno sul destino del protagonista della Seconda repubblica.
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