L’incanto dell’oud tra moschee e madrase

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IL CAIRO. Il coprifuoco è stato ormai spostato alle 11 di sera e la vita torna lentamente alla normalità al Cairo. Soprattutto negli antichi quartieri di Helmeya e Gamaleia, dove il suono tradizionale dell’oud si fa di nuovo sentire nei concerti, che ricominciano faticosamente, dopo la pausa obbligata del Ramadan. Tornano gli spettacoli musicali della vecchia Opera House di via Gomorreia, le serate del palazzo Amir Taz e gli appuntamenti della domenica alla Beit al-Oud: una delle scuole più rinomate del Cairo, voluta dal maestro iraqeno Nazir Shamma. Qui sono nati i grandi talenti dell’oud egiziano da Abdallah Abozecri a Bahar Gazi fino all’ormai notissimo Hazem Shahin. «Sono a lungo in trasferta in tutta Europa e spesso mi trovo lontano dal mio paese nei momenti in cui lo scontro politico diventa anche violento. Ma credo che il riscatto per l’Egitto debba partire dall’innovazione del linguaggio musicale, come fa con le sue note Nazir Shamma», ci spiega Abozecri.
Lasciati i musicisti di Beit al-Oud ci incamminiamo verso il Museo di arte islamica, le cui sale sono state riaperte dopo anni di chiusura per restauro. Nonostante l’assenza di polizia, questi luoghi sono stati risparmiati dalle decine di criminali che in varie occasioni sono partiti proprio da qui per seminare il terrore nella città. Tra gli oggetti conservati spiccano alcune calligrafie, riconosciute come patrimonio dell’Umanità dall’Unesco.
Di particolare pregio le miniature persiane, realizzate tra il 744 e il 1343, raffiguranti Le favole di Bidpai. Il fisico Buzzuya ha tradotto in persiano in epoca sasanide 103 illustrazioni del periodo pre-islamico proprio quando i despoti iraniani finanziavano figure del calibro di Ferdowsi, alla base della tradizione mistica persiana. In una delle sale più belle del museo si vedono poi dei reperti di epoca Ayubide, dinastia militare discendente dei kurdi, al governo durante le conquiste crociate. Nel 1168, con la fine dell’ultimo califfo, Saladino abolì il califfato e fece costruire la prima moschea sufi al Cairo. È di epoca fatemide l’incantevole mirhab (che indica la direzione della preghiera), trasportato direttamente dalla moschea Ibn Tulun. Dagli oggetti della sala accanto traspare la vita lasciva dei sovrani fatemidi che usavano circondarsi di monili dal lusso tracotante. Lasciando le arcate abbassidi con iscrizioni in caratteri cufici e magnifiche ceramiche, provenienti dall’Asia centrale, iniziamo un viaggio in questo incredibile quartiere dove sono stati raccolti i reperti di queste dinastie della Cairo islamica, ora conservate nel museo.
Percorriamo il quartiere di Helmeya da via Muiz Iddin Illah fino alla moschea Al Hakim. Lasciata via Ahmad Pasha, entriamo a Bab Zweila, la porta del rione Goureia, di fronte alle moschee Talai e Barquq. Sulla destra sorge il pozzo Sabil Kuttab, di fronte al quale si erge la moschea al Muyaiad, le cui mura sono colorate di bianco e rosa. Il pulpito è fatto di legno e avorio. Il marmo delle pareti è di colore rosso e nero: sei finestre chiuse da grate di ferro e da persiane di legno danno sui negozi della strada. I due minareti sono i più alti della città antica. A destra incontriamo la piccola moschea el-Faqaani. Attraversando il cortile aperto, si intravede la decorazione di legno mentre spiccano le mattonelle bianche e azzurre del mirhab.
Proseguendo per la strada Iddin Illah, raggiungiamo le madrase di Al Ghuri, una di fronte all’altra, unite da un tetto di legno intarsiato che copre la strada. Entriamo nella moschea, costruita dal sultano mamelucco Al Ghuri appunto, attraverso una piccola stanza quadrata dai marmi colorati e il soffitto a cassettoni in legno intarsiato. Il cortile, aperto in alto, è senza colonne, chiuso da due grandi arcate per le zone di preghiera di uomini, a sinistra, e donne, a destra. Una piccola porta decorata conduce nei bagni per le abluzioni, due grandi lampade, come uccelliere, pendono dalle due arcate maggiori. Mentre all’angolo con via Al-Azhar si trova il pozzo di Sabil al-Kuttab dove si davano lezioni ai bambini. La scuola era al piano superiore. Anche nel palazzo Al Ghuri si tengono canti, concerti di oud e musica tradizionale. Oltrepassato un cortile, si arriva alla porta che guarda alla moschea di fronte e al piccolo teatro a tre spalti dove si sistemano i musicisti per il concerto della sera. La copertura ottagonale e i merli del cortile rendono complessa la struttura che si sviluppa in basso in cisterne e fori dai quali venivano calati secchi per la raccolta dell’acqua. L’acqua scorreva da un marmo scanalato e, attraversando la stanza, giungeva in una piccola vasca dalla quale la gente si abbeverava da tre punti diversi tra via Iddin Illah e Al Azhar.
Attraversata la strada, entriamo nella madrasa Sultan Barshai. Ci incamminiamo lungo un piccolo ingresso. Il grande cortile è circondato da quattro profonde nicchie, i cui soffitti sono completamente aperti al margine. Al centro undici uomini pregano, disposti alla rinfusa. Il legno dei soffitti è magnificamente decorato ed intarsiato al centro. Passato l’incrocio con via Jawhar el Kaied, si trova la moschea el Mutahhir. Questo tratto di via Iddin Illah è stato completamente ristrutturato da un progetto, portato a termine da architetti svizzeri. E riflettori colorati illuminano di sera le pareti di queste moschee. Negozi, deserti per l’assenza di turisti, continuano a destra e sinistra fino al mausoleo di Al Saleh di fronte all’ospedale e scuola Kalaon. Un lungo corridoio dai tetti di legno, la sala per la tomba magnificamente decorata, marmi policromi e poca luce, il cortile circondato da ampie nicchie e colonne rendono questo luogo incantevole. La salita fino al minareto mostra i tetti grigi dei palazzi moderni della Gamaleia.
E così raggiungiamo le madrase Ibn Qaldoun e Sultan Barquq. Alcuni di questi luoghi vanno visitati di nascosto, perché ufficialmente sono chiusi al pubblico. Preso il vicolo Darb el-Asfar, scopriamo sulla sinistra un’antica villa in cui si tengono concerti di oud tutti i venerdì e la domenica: Beyt el Suhaymi. Ogni porta di questa casa conduce in stanze minuscole.
Poco più avanti, annunciata dagli imponenti basamenti dei due minareti e da alberi pitturati di bianco, si erge la moschea Al Hakim, dove finisce il nostro viaggio. Il marmo bianco si estende per metri e metri in un cortile aperto dove bambini piccoli corrono o camminano appena, mentre decine di uccelli volano bassi. A destra si vedono le antiche mura di Bab Fotuh. La Cairo islamica torna a risuonare delle melodie di Munir Bashir e dei grandi maestri di oud del Medio Oriente, ma l’Egitto vive ancora giorni di grande incertezza, tra nuovi attentati e con l’incognita del futuro politico degli islamisti.


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