by Sergio Segio | 11 Settembre 2013 7:42
SANTIAGO DEL CILE. La faglia che corre lungo la costa cilena da Arica a Puerto Williams sembra essere un avvertimento nascosto: attenti, sotto la superficie, permane la rottura. È così, molti cileni hanno approfittato di questi 40 anni dal colpo di Stato per tornare a parlare della dittatura, a tavola o al lavoro; tanto più l’hanno fatto, quanto più hanno capito che ci vorrà ancora tempo per arrivare alla pace che in fondo desiderano. Infatti, a dispetto delle mille bandiere cilene che sventolano sui davanzali e sulle auto, di Cile ce ne sono ancora almeno due e forse anche di più. Due sono state per esempio le cerimonie ufficiali per commemorare l’anniversario. In una si è parlato di «ferita» e nell’altra di «frattura». In entrambe si è ammessa la propria «responsabilità» o il proprio «fallimento», ma in nessuno dei casi si è risparmiato l’avversario.
«Il governo dell’Unidad Popular – quello di Allende – ruppe lo stato di diritto del nostro paese», ha detto il presidente Sebastian Piñera, davanti al palazzo della Moneda, che 40 anni fa bruciava e che oggi ha fatto da telone di fondo a un’esame di coscienza molto parziale, da parte di una destra che ora condanna il sollevamento militare, ma che all’epoca ne fu entusiasta.
«Non può esistere la riconciliazione, se questa viene confusa con la cancellazione della verità e della giustizia», ha detto invece il leader della coalizione socialdemocratica Nueva Mayoria, Michelle Bachelet, parlando dal Museo dei diritti umani, un edificio monolitico che conserva il ricordo delle vittime del regime, tra cui compare anche suo padre, il generale Bachelet, che fu viceministro di Allende e per questo torturato e ucciso. Forse, la prossimità del voto che si stima riporterà il centrosinistra al potere, ha esasperato i toni, ma per la figlia di Salvador Allende, la senatrice Maria Isabel, il fatto che la classe politica abbia dovuto rinunciare a fare un’unica commemorazione, dimostra che «in Cile le ferite non si sono ancora rimarginate».
Eppure, qualche manifestazione istituzionale di rilievo c’è stata. La Corte suprema ha per esempio riconosciuto che la magistratura abbia «commesso gravi omissioni» negli anni che seguirono al golpe, ma non ha comunque detto «chiedo scusa», come aveva invece fatto il giorno prima l’Associazione dei magistrati, camera che rappresenta un potere a cui si attribuisce la colpa dell’inazione, davanti ai casi di sequestro, tortura e omicidio. In parlamento, d’altra parte, è stata presentata una mozione affinché si facesse un mea culpa per la lettera con cui il 22 agosto ’73 la Camera denunciava «il grave deterioramento dell’ordine democratico» perpretrato dal governo di Allende e chiedeva alle Forze Armate di «porre immediatamente fine a tutte queste situazioni». Anche qui, però, non c’è stato consenso e si è dovuto ripiegare sulla moderazione.
«Io credo che non si tratti di chiedere scusa», dice la deputata socialista Denise Pascal, riguardo a quel documento che i militari sventolarono per legittimare il loro intervento. Salvador Allende era suo zio e oggi è convinta che «molta gente si colpisca il petto, ma nel profondo dell’animo non abbia alcun sentimento sincero».
Anche nella stessa sinistra, poi, si sono viste distanze importanti. Domenica, per esempio, sono scese in piazza 30 mila persone per dire «mai più» dittatura e «basta» con l’impunità dei colpevoli. Tuttavia, il corteo in cui sembravano poter convinvere realtà diverse dell’antagonismo cileno, si è sfasciato in un caos quando una scaramuccia tra un gruppo estremista e la polizia è degenerata in scontri, che sono andati avanti fino a sera e hanno impedito alla maggior parte delle persone di raggiungere il monumento ai desaparecidos, nel cimitero di Santiago.Poi, i passanti con in mano un giornale conservatore che non si pente di aver appoggiato Pinochet, dicevano: «Questa è la sinistra».
Nell’ultimo messaggio radiofonico, prima di morire insieme alla democrazia cilena, Allende disse: «Presto torneranno ad aprirsi i larghi viali in cui cammina l’uomo libero, per costruire una società migliore», ma a questo paese stretto e lungo, 40 anni non sono del tutto bastati.
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