La trincea di Renzi (e di Cuperlo): non possono rinviare sarebbe una figuraccia

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Anche Matteo Renzi ci rimugina su. È stupito per la dinamica dei fatti. E lo spiega agli amici di Firenze senza girarci troppo intorno: «Letta ha detto che non si sarebbe interessato di quella riunione, ma poi i suoi hanno brigato per due giorni ed é finita in quel modo imbarazzante».
Ma domani è già un altro giorno per il Pd. E c’è già una nuova riunione alle porte. Per il 27 é convocata la Direzione del partito, cui tocca il delicato compito di sbrogliare l’intricata matassa di regole e cavilli ereditata dall’Assemblea. È un appuntamento che il sindaco non sembra temere: «Se non vogliono fare un’altra brutta figura non torneranno indietro sulla data del Congresso», assicura Renzi ai suoi.
Il sindaco, ma non solo lui, non crede che in Direzione, dove oltre che i renziani anche i cuperliani, i veltroniani e i bindiani sono per il rispetto delle regole e della data delle assise, bersaniani e lettiani cerchino di forzare più di tanto. Peraltro, se vi sarà qualche tentativo in questo senso, é già pronta la richiesta di dimissioni dei responsabili. «Se Zoggia non é in grado di organizzare il Congresso in tempi certi si dimetta», dicono i veltroniani. Matteo Orfini non é da meno e rincara la dose: «Epifani e Zoggia dovrebbero già dimettersi per come hanno gestito l’Assemblea nazionale».
Insomma, dice il dalemian-cuperliano Roberto Gualtieri, «basta discussioni e andiamo avanti con il nuovo partito». Non c’è tempo per fermarsi un’altra volta: «Il vecchio gruppo dirigente deve uscire di scena», avverte Paolo Gentiloni. E ogni riferimento all’ex segretario Pier Luigi Bersani (che al contrario dei suoi predecessori, è rimasto al partito anche dopo le dimissioni e si é fatto assegnare un ufficio tutto per lui) è assolutamente voluto.
Dunque Renzi tira dritto per la sua strada. E porta avanti, nel contempo, il suo progetto di nuovo partito e quello del governo che verrà e che lui vorrebbe guidare. Già, il sindaco si muove su entrambi i piani. Perché é vero che non crede a una crisi imminente: «Berlusconi non farà mai questo piacere al Pd: i sondaggi li vede pure lui». Ma é anche vero che in tempi come questi nessuno può escludere niente in via definitiva. Meglio tenersi pronti, non si sa mai. Del resto, i renziani, che non vogliono spingere sull’acceleratore delle elezioni, si rendono conto che potrebbe capitar loro all’improvviso il compito di governare e che farsi trovare spiazzati sarebbe assurdo: «Prepariamoci a governare senza avere la necessità di mediare con il Pdl e non indugiamo in dietrologie e regole che hanno ammorbato i nostri elettori», ammonisce Angelo Rughetti.
Così Renzi va avanti, mosso da sue convinzioni. La prima la condivide con quasi tutto il partito e quando conversa con i suoi collaboratori la riassume così: «Se il Pd si logora a causa delle larghe intese si indebolisce tutta la politica». La seconda convinzione la condivide soprattutto con l’elettorato del centrosinistra, un po’ meno con il gruppo dirigente del suo partito che fa più fatica ad ammettere pubblicamente certe cose: «Finora gli unici che hanno portato a casa dei risultati dal governo delle larghe intese sono quelli del Pdl e non si può più andar avanti così: ora tocca a noi».
Quindi, da una parte, Renzi si prepara a fare il segretario e immagina il partito che verrà, fatto «da giovani, amministratori, gente che studia i problemi, che si impegna e si assume le proprie responsabilità, pagando di persona». Dall’altra, sogna palazzo Chigi, convinto che, quando sarà, bisognerà affrontare la questione del governo con tutt’altro nerbo: «La prossima volta il gioco lo condurremo noi».
Maria Teresa Meli


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