La trincea di casa nostra
RAGUSA. Sono di origine siriana i 132 migranti, tutti uomini, sbarcati alle 13 di ieri al porto di Pozzallo. Tra coloro che sono stati accolti e identificati al Centro di prima accoglienza (Cspa) c’erano anche molti minori, di cui 13 non accompagnati. In serata, 10 persone sono state trasferite a Vittoria, 50 a Ragusa e 18 a Comiso. Sono parte di un più cospicuo gruppo – costituito da 359 profughi, di cui 121 minori e 76 donne – tratto in salvo, la notte prima, al largo delle coste siracusane dalle motovedette della capitaneria di porto e dal mercantile Bbc Island.
Una nottata di sbarchi che ha riguardato anche anche la Calabria. A Roccella Ionica sono approdati 171 migranti, anch’essi di origine siriana, tra i quali 44 donne e 64 minori, che erano a bordo di un barcone in avaria. Sono stati i migranti stessi a contattare la guardia costiera, che ha poi effettuato le operazioni di soccorso, rese lunghe e difficoltose dalle condizioni del mare. Adesso, nel Cspa di Pozzallo, la cui capienza prevede la possibilità di ospitare massimo 180 migranti, ci sono circa 400 persone.
E c’è gente ferma lì da due mesi, anche se i migranti dovrebbero rimanervi al massimo per 48 ore, per poi essere trasferiti nei Cara (Centri per i richiedenti asilo), o nei Centri per minori, se si tratta di ragazzi non accompagnati. «Dal punto di vista giuridico, il centro di Pozzallo è al di fuori di una gestione secondo secondo le regole», denuncia l’Associazione Borderline Sicilia, nata nel 2008, con l’intento di costituire un osservatorio sulla migrazione. Il Cspa dovrebbe servire solo a gestire le situazioni critiche legate all’immediatezza degli sbarchi, non a trattenere le persone così a lungo. Anche dal punto di vista strutturale, non è adatto a ospitare oltre i due o tre giorni: è un hangar portuale, inizialmente adoperato come magazzino merci. Poi è stato ristrutturato, ma ciò non basta a farne un luogo in grado di garantire un’accoglienza dignitosa per lunghi periodi di tempo. Giuridicamente è un Cspa, in realtà è diventato un centro ibrido. Viene utilizzato come Cara, nel senso che vi vengono trattenuti per mesi e mesi i richiedenti asilo, e come Cie, dal quale vengono disposti espulsioni e rimpatri. Di conseguenza, non vengono osservati neanche i minimi criteri di legalità che, ben lontani dal garantire buone condizioni di accoglienza nei Cara e nei Cie, assicurano quanto meno il rispetto delle procedure di base che regolano l’espulsione o il trattenimento delle persone. Nei Cie, ad esempio, c’è un giudice di pace che convalida il trattenimento. A Pozzallo, trattandosi di Cspa, questa figura manca. Perciò, per Borderline Sicilia, la pratica di fare rimpatri da Pozzallo, è illegale.
Altra nota dolente, messa in luce dall’associazione, è la condizione dei minori non accompagnati, i quali non dovrebbero in nessuno di questi centri, ma nelle comunità per minori. Invece, a Pozzallo sono tenuti insieme agli adulti. Solo le donne stanno in una parte separata dell’ex hangar. Insomma, come fa notare l’associazione Borderline malgrado le nostre coste siano interessate da sbarchi da decenni, l’Italia è sistematicamente impreparata a gestire il fenomeno immigrazione. Mancano modelli di accoglienza efficienti e dignitosi. E, avverte Borderline, «la Sicilia, e il Sud, non possono essere lasciati da soli, ad accogliere». Occorre un sistema nazionale che parta dalla creazione di nuovi centri – in tutta Italia – e che preveda il trasferimento dei migranti dalle strutture di prima accoglienza, man mano che arrivano. Solo così si potranno evitare le situazioni di sovraffollamento, come quelle che da mesi si presentano a Pozzallo.
Il regolamento Dublino, definito in precedenza Convenzione di Dublino, che disciplina le modalità di richiesta d’asilo, va cambiato. Si tratta di una norma europea – tratta dal regolamento 2003/343/CE – che prevede che i migranti possano chiedere asilo solo nel primo Paese in cui arrivano e vengono identificati. La maggior parte dei richiedenti asilo che arriva in Italia non vuole restare qui. Vorrebbe andare in Svezia, in Inghilterra, in Germania, dove molti migranti hanno già dei parenti e dove ci sono comunità di rifugiati. Invece, una volta sbarcati in Italia, sono costretti a chiedere asilo qui, rimanendo reclusi per mesi, prima di riuscire ad ottenere lo status di rifugiati. Ecco perché si fugge dai Cara. Perché non vogliono essere identificati in Italia.
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