La solitudine del comandante in capo costretto al dietrofront dai sondaggi

by Sergio Segio | 1 Settembre 2013 7:02

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Barack Obama cerca di uscire dalla sua solitudine di presidente costretto a deliberare un attacco militare contro la Siria che non avrebbe mai voluto lanciare, coinvolgendo nella decisione il Congresso e cercando di responsabilizzare un’opinione pubblica che, nei sondaggi, continua a mostrarsi in forte maggioranza contraria a un intervento punitivo del regime di Assad, anche dopo una strage chimica.
Il voto del Parlamento darà più forza all’America in questo frangente difficilissimo, spiega il presidente democratico. Sul piano delle relazioni internazionali, però, Obama rischia di dare un segnale di debolezza. Certo, ora ufficialmente ha deciso di agire, ma l’introduzione di un passaggio a Capitol Hill non dovuto e non facile (almeno alla Camera), introduce un elemento di incertezza che non era contemplato quando, un anno fa, il leader della superpotenza avvertì Assad: se superi la linea rossa dell’uso di armi chimiche, te ne pentirai amaramente.
Obama deve essersi pentito di quella sortita che gli ha legato le mani, anche se rimane convinto, come i suoi collaboratori più stretti, che la comunità internazionale non può farla passare liscia al dittatore siriano, pena un’incontrollabile proliferazione dell’uso di armi terribili, in aperta violazione dei trattati internazionali che le hanno messe al bando. Le sue preoccupazioni, oggi, non sembrano essere più tanto quelle del rispetto della legalità internazionale, delle regole Onu, della costruzione di un’ampia coalizione multilaterale. Ora ha bisogno soprattutto di un consenso interno sufficientemente ampio. E per metterlo insieme stavolta prova a vestire più i panni del leader politico che quelli del «commander-in-chief».
Il presidente non ha difficoltà a liquidare l’Onu come un organismo paralizzato, incapace di decidere e di far rispettare principi e regole. E a scavalcarlo. Si muove, invece, con molta più circospezione quando vede i sondaggi contrari a un’altra azione militare o duecento parlamentari (compreso il numero due dei repubblicani al Senato) che firmano una mozione nella quale si intima alla Casa Bianca di passare da un voto del Congresso prima di lanciare l’attacco.
Detto, fatto: stufo di restare sempre col cerino in mano (anche ieri sera Obama ha lamentato nel suo discorso alla nazione che in giro per il mondo molti pensano che Assad vada punito ma nessuno vuole prendersi la responsabilità di farlo) il presidente delibera l’attacco ma lascia la decisione finale al Parlamento. E intanto lancia una massiccia campagna di informazione e responsabilizzazione: ieri, oggi e nei prossimi giorni gruppi di deputati e senatori riceveranno briefing dei servizi segreti e del team del Consiglio per la Sicurezza Nazionale nei quali prenderanno visione anche di documenti top secret .
Un modo per responsabilizzare i parlamentari, ma anche l’opinione pubblica che, sperano alla Casa Bianca, giorno dopo giorno si renderà conto della gravità di quanto accaduto grazie anche alla parallela campagna informativa basata su materiale non «classificato». Se alla fine cambierà il segno dei sondaggi e otterrà un mandato ampio dal Congresso, Obama potrà dirla di averla spuntata. Magari anche di aver innovato rispetto ai suoi predecessori.
Ma i rischi sono elevati, come dimostra la vicenda del voto del parlamento britannico. Rischi ma anche opportunità: rinviando l’azione militare, Obama mette la questione siriana anche al centro del G-20 che si riunirà a metà della prossima settimana a San Pietroburgo (il parlamento Usa riaprirà i battenti solo il 9 settembre). E’ quello che aveva auspicato il premier italiano Letta e anche il presidente russo, Putin.
Obama dà un segnale di disponibilità e potrà portare il suo discorso sulla responsabilità morale in materia di armi di distruzione di massa che le grandi potenze hanno davanti alla storia — quello che ha appena fatto agli americani — davanti al consesso internazionale più ampio e rappresentativo. Ma poi corre il rischio di ritrovarsi in casa con un buon numero di parlamentari che, pur di evitare l’intervento contro Assad, si aggrappano a mezze aperture e o finti spiragli di dialogo che sicuramente verranno seminati nei prossimi giorni.
Massimo Gaggi

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