La periferia della crisi: una fabbrica contro l’esclusione sociale

by Sergio Segio | 7 Settembre 2013 7:38

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Quattro ettari di terreno, capannoni in disuso, attrezzi da lavoro, vagoni sollevati da terra, rimasti in sospeso come le vite di molti lavoratori che qui, nella vecchia fabbrica RSI (Rain Service Italia) alla periferia di Roma, hanno lavorato per anni nella riparazione dei treni. Prima della cassa integrazione e, poi, del licenziamento. Da giugno, grazie ad alcuni di quei lavoratori e a molti altri attivisti romani, questa fabbrica è diventata «Officine Zero», uno spazio occupato dal febbraio 2012 dove sperimentare alternative praticabili all’economia fondata sull’esclusione sociale. Ed è qui che ieri è stata inaugurata l’undicesima edizione della «contro-Cernobbio», il consueto appuntamento promosso dalla campagna Sbilanciamoci!.
Un forum «dedicato alle persone più colpite dalla crisi», ha spiegato in apertura Grazia Naletto, che insieme ad Andrea Baranes è portavoce di Sbilanciamoci!. Una «riflessione collettiva, perché c’è bisogno di affinare gli strumenti di analisi della crisi», seguendo traiettorie anche diverse, ma con un unico obiettivo: ristabilire il primato della politica sull’economia e sulla finanza, contrastando le politiche di austerità, che hanno aggravato la crisi, facendone pagare i costi a chi è più vulnerabile.

Una riflessione che parte dalla periferia di Roma, da un luogo simbolo della mancanza di vere politiche industriali in Italia, ma che deve necessariamente assumere una prospettiva europea, se vuole essere efficace, ha aggiunto Giulio Marcon, oggi deputato indipendente per Sel e per anni portavoce di Sbilanciamoci!. Ed è proprio il vecchio continente a fare da cornice tematica all’edizione di quest’anno, dedicata a «Europa diseguale. Le alternative alla recessione e alle diseguaglianze». Un’Europa che per Marcon deve diventare «solidale, inclusiva, democratica, capace di costruire un progetto diverso da quello neoliberista importato dagli Stati Uniti», fatto di welfare compassionevole, di uno stato sempre più debole e di un mercato sempre più forte. Per farlo, occorre riconoscere che le diseguaglianze non sono soltanto il frutto delle politiche di austerity imposte per uscire dalla crisi, ma una sua causa strutturale. La crisi economica-finanziaria scoppiata nel 2007, ha spiegato Marcon, nasce e si fonda sull’ingiustizia sociale, sul trasferimento di reddito dal lavoro alla rendita, su una finanza che cresce a scapito dell’economia reale, su una politica che diventa subalterna all’economia. E’ proprio questo il bisogno più urgente, ha sostenuto Andrea Baranes: riappropriarsi della capacità di gestire la politica, di orientare la politica economica, di immaginare un modello di sviluppo diverso, socialmente, economicamente ed ecologicamente sostenibile.

Per l’economista Felice Roberto Pizzuti, intervenuto nella prima sessione dedicata al modello redistributivo in Italia e in Europa, si tratta di migliorare la qualità sociale dei meccanismi produttivi e distributivi, rimodulare le relazioni tra mercati e istituzioni, abbandonare la visione neoliberista e accelerare la costruzione europea. Perché alla globalizzazione selvaggia che opera su scala globale si può rispondere soltanto su scala continentale, rifuggendo le pulsioni insulari, neo-nazionaliste. Senza però perdere le specificità di ogni paese, come quelle italiane, analizzate da Annamaria Simonazzi, docente all’Università La Sapienza di Roma, che ha insistito sullo scollamento della coesione sociale in Italia, sulla nuova configurazione delle classi sociali. E sulla necessità di una finanza etica per le famiglie. Perché «l’economia siamo noi», ha ricordato Monica Di Disto di Fairwatch, noi che «vogliamo che l’economia sia uno strumento, non la protagonista assoluta».

Un processo difficile, ma possibile. Come dimostra ciò che sta avvenendo qui, nell’ex fabbrica Rsi, alla periferia di Roma. In uno spazio che – hanno raccontato Lorenzo Sansonetti e Emiliano Angelé – sta diventando un incubatore di nuove esperienze e speranze, grazie a una forma di lotta comune. Come quelle raccontate nell’appuntamento serale moderato da Angelo Mastrandrea, con alcuni operai tra i quali Ciro D’Alessio della Fiat di Pomigliano d’Arco e Silvia Curcio della Irisbus. Oggi gli incontri della «contro-Cernobbio» proseguono nel Teatro Valle.

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