La Cassazione sul lodo Mondadori: Fininvest deve risarcire 494 milioni

by Sergio Segio | 18 Settembre 2013 7:23

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MILANO — Il fondatore di Fininvest, tre volte presidente del Consiglio e oggi capo del Pdl, si è giovato nel 1991 di una corruzione giudiziaria del valore di mezzo miliardo di euro, operata nel suo interesse da un suo avvocato con soldi offshore della sua azienda, e valsagli il controllo della più grande casa editrice italiana (la Mondadori) in forza appunto della compravendita di un verdetto civile: quello che 22 anni fa mise la Fininvest di Silvio Berlusconi nella condizione di trattare con la Cir di Carlo De Benedetti da una truccata posizione di forza la spartizione, mediata dall’imprenditore Giuseppe Ciarrapico sotto l’egida dell’allora premier Giulio Andreotti, tra la fetta di Mondadori andata a Berlusconi (i libri, i settimanali tra cui Panorama e un conguaglio di 365 miliardi di lire) e quella a De Benedetti(L’Espresso , Repubblica e i quotidiani locali Finegil).
A stabilirlo ieri, dopo che un mese fa anche gli ultimi degli 11 giudici di tre gradi di giudizio penale del processo Mediaset hanno condannato in via definitiva Berlusconi per frode fiscale, è stata la Cassazione civile, con sentenza di 5 magistrati della Suprema Corte in linea con i 3 di appello a Milano nel 2011 e con quello di tribunale nel 2009: tutti a loro volta giunti, nel civile, alle medesime conclusioni sul lodo Mondadori raggiunte da altri 11 giudici nei tre gradi del giudizio invece penale, sfociato nel 2007 nelle condanne definitive dell’avvocato Fininvest ed ex ministro della Difesa Cesare Previti come corruttore, del magistrato Vittorio Metta come corrotto, e degli avvocati Attilio Pacifico e Giovanni Acampora come intermediari.
La Suprema Corte, pur accogliendo uno dei 15 motivi difensivi e facendo un conseguente sconto di 23 milioni (che salgono a 70 tra interessi e rivalutazioni), ieri ha infatti confermato la condanna della Fininvest di Berlusconi a risarcire 494 milioni di euro alla Cir come responsabilità civile per i danni arrecati all’editore del gruppo «Repubblica-Espresso» dalla tangente di 400 milioni di lire al giudice Metta, estensore della sentenza della Corte d’Appello civile di Roma che nel 1991 ribaltò a beneficio del Cavaliere l’iniziale lodo di tre arbitri favorevole all’Ingegnere. Il quale, patrocinato da Elisabetta Rubini, Vincenzo Ruoppo e Nicolò Lipari, constata come «dopo più di 20 anni venga acclarata la gravità dello scippo che la Cir subì».
Viene cassata solo la troppo ipotetica, per la Suprema Corte, stima del 15% di integrazione equitativa per la «perdita di chance» negoziale della Cir nella trattativa del 1991 dopo la sentenza truccata. Ma per il resto, «se un rilievo può essere mosso alla motivazione della Corte d’Appello è quello di risultare talvolta fin troppo analiticamente argomentata», riassume in 185 pagine la Cassazione sull’impianto dei giudici de Ruggiero-Rollero-Saresella, e in primo grado del giudice Mesiano (quello poi tartassato da una tv dell’imputato in un servizio censurato dal Garante della Privacy): tutti a loro volta fondatisi sulle prove raccolte dall’inchiesta avviata nel 1996 dai pm Ilda Boccassini e Gherardo Colombo tra fallite ricusazioni di giudici, leggi ad personam, ispezioni ministeriali, procedimenti disciplinari e denunce penali contro i pm.
Accanto ad anomalie nell’assegnazione della causa a Metta, prove documentali che la sua sentenza non fosse stata dattiloscritta presso la Corte ma redatta fuori e da altri, tabulati telefonici indicatori della familiarità fra Previti e Metta su un numero riservato all’alba o di sera, e confidenze della teste Stefania Ariosto, decisivo è risultato che la tangente utilizzata dal giudice per comprare una casa fosse ricavata (passando per Pacifico e Acampora) da un bonifico di 2,7 milioni di dollari fatto 20 giorni dopo il verdetto al conto svizzero «Mercier» di Previti dai conti svizzeri «Ferrido» e «All Iberian», cioè dai fondi del comparto estero occulto ricondotto al gruppo di Berlusconi già dalle motivazioni di più sentenze. E l’ex direttore finanziario Fininvest Livio Gironi, in imbarazzo sui «fondi extracontabili, estero su estero, senza fattura, se li vuole chiamare in nero… io li chiamavo soldi liberi, cosa è successo dopo non so, spero abbiano fatto il condono…», testimoniò che a disporre i bonifici a Previti era stato il cassiere Fininvest, Giuseppino Scabini, con il quale Previti aveva però negato di aver avuto a che fare per le sue asserite (seppure in nero) parcelle legali.
I gemelli siamesi giudiziari Berlusconi-Previti erano però stati separati quando, annullato su ricorso dei pm l’iniziale proscioglimento firmato in udienza preliminare nel 2000 dal gup Rosario Lupo per tutti gli indagati, costoro erano stati incriminati, mentre il solo Berlusconi aveva schivato il rinvio a giudizio (costato infine nel 2007 a Previti e al giudice Metta la condanna definitiva a 18 mesi e a 33 mesi in continuazione con i 6 anni già incassati per Imi-Sir) grazie alla combinazione tra un vuoto normativo e una prognosi dei giudici milanesi Riccardi-Maiello-Budano nel 2001.
In Italia, infatti, le pene per il privato corruttore e per il magistrato corrotto sono equiparate dal 1992, ma il legislatore si era scordato di prevedere una norma che, per i fatti commessi fra il 12 maggio 1990 e il 17 marzo 1992 (come appunto il 1991 del lodo Mondadori) punisse la «corruzione in atti giudiziari» commessa dal privato corruttore, che dunque restava punibile soltanto per «corruzione semplice», reato la cui prescrizione si dimezzava nel caso di concessione di attenuanti generiche. E nel 2001, negate a Previti, le attenuanti furono invece concesse (prima da Milano e poi dalla Cassazione) al solo Berlusconi, per la transazione con Cir e soprattutto nel presupposto che avesse agito «nell’ambito di un’attività imprenditoriale le cui zone d’ombra non possono condurre a una preconcetta valutazione ostativa» a fronte delle sue «attuali condizioni individuali e sociali di oggettivo rilievo».
Luigi Ferrarella

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