Intesa, Cucchiani tratta la buonuscita il manager punta a incassare 7 milioni

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MILANO — Oggi Enrico Cucchiani torna in Italia. Dopo New York, l’ad di Intesa Sanpaolo farà un passaggio a Francoforte, poiché è solito usare solo Lufthansa per i voli atlantici. Non è chiaro se vedrà il presidente Giovanni Bazoli a stretto giro, ma tutto porta a credere che i due si parleranno, per concordare una forma consensuale di uscita del manager ex Allianz. Non sembra un negoziato difficile: l’ad uscente ha diritti contrattuali fino al 2015, quindi gli spettano tre annualità fisse più l’attuale variabile. Il conteggio si ricava dai bilanci: Cucchiani entrò in Ca’ de Sass con lo stesso stipendio di Allianz (un po’ più alto del predecessore Passera), pari a un fisso di 1,5 milioni più 300mila di fidelizzazione; a ciò si aggiunge la parte variabile, per un terzo in contanti il resto in azioni, subordinata a certi obiettivi. Su queste basi si può individuare una base di trattativa in 6 milioni cash più un altro variabile, su cui ci sarà più da “trattare”. Se le parti si accordano e l’ad si dimette, martedì il Cdg retto da Gros-Pietro prenderà atto nominando Carlo Messina, dg vicario a capo della rete, nuovo consigliere delegato. In tal caso i “gestori”, attualmente nove, scenderanno a otto (il minimo statutario è sette), ed entro qualche settimana la maggioranza dei manager in Cdg, imposta da Bankitalia, sarebbe ripristinata con un nuovo dirigente in consiglio. Ci vorrà più tempo, invece, per trovare un nuovo capo alla Banca dei territori, di cui per ora Messina terrà l’interim. Se invece Cucchiani non volesse dimettersi, andrebbe incontro a un voto di sfiducia in consiglio.
Dopo il cda di venerdí, con cui la Carlo Tassara ha approvato la riforma della governance che dà la maggioranza dei consiglieri a indipendenti scelti dalle banche creditrici, la strada per ristrutturare il debito da 2,25 miliardi (1,2 prestati da Intesa) è in discesa. Domani dovrebbe tenersi un altro cda della holding che fa capo a Romain Zaleski, per approvare le linee guida proposte dalle banche sui debiti. Se tutto fila liscio, e gli ultimi dettagli della trattativa si risolvono, entro metà ottobre ci sarà l’accordo definitivo. Da lì Tassara avrà altri due anni di tempo (non i 4 inizialmente richiesti) per dismettere gli asset in portafoglio, in larga misura azioni quotate di quelle stesse banche che l’hanno generosamente finanziata, (oltre a Intesa, ci sono anche pacchetti di Mittel e Ubi) e distribuire il rimanente ai creditori. Se i soldi non basteranno, le banche si sono comunque impegnate a un patto di “non petendo”: in sostanza, si accontenteranno senza far fallire Tassara. Nel riscrivere per la terza volta l’accordo di standstill sui debiti Tassara, le banche hanno messo sul piatto anche strumenti partecipativi (similiazioni) per 650 milioni, stralciati dai crediti. In tal modo la holding, che ha un Nav negativo, potrà approvare il bilancio nella continuità aziendale.


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